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Giovani e classe dirigente «Eccoci, noi siamo pronti»

Come leader mondiali scelgono Benedetto XVI e Bill Gates. Padre Bossi modello di impegno per i diritti umani.

di , Avvenire, 4 ottobre 2007, p. 3

Metti una mattina di settembre a confronto con undici neo-laureati, tutti 110 e lode, età media 23 anni, curricula selezionati tra 3.107 candidati dall’Alma Graduate School dell’Università di Bologna. Metti un incontro a tutto campo, per capire chi sono e cosa vogliono Daniele, Francesco, Marilù, Roberta… quali abitudini hanno, che idea si portano dietro dell’Italia e del mondo. Metti in conto tutto questo, prepari dieci domande per un brain storming e che cosa scopri? Innanzitutto, alcune coordinate importanti per definire la generazione che avanza, le aspettative e i giudizi sulla classe dirigente, l’elenco delle priorità.

In un Paese in cui riforme e progetti sono in mano a chi ha il pallino del potere, abbiamo provato a ribaltare la prospettiva chiedendo agli under 25 «eccellenti» di scendere in campo. Ieri gli stessi giovani hanno incontrato il presidente del Consiglio Romano Prodi, che ha assegnato a cinque di loro una borsa di studio. Una settimana prima, questi laureati (tre dei quali sono poi stati premiati) si erano confrontati con Avvenire.

Il dialogo che ne è uscito comincia dalla lettera “i”. “I” come Internet. Questa non è solo una generazione che «usa» la Rete, ma che «è nata» in Rete. «Per noi non è solo una fonte, è la fonte», spiega Pasquale Quaranta, laurea in Scienze della comunicazione all’Università di Salerno.

Una fonte che va controllata? «Meglio di no, altrimenti si rischia la censura – aggiunge Francesco Rambelli, pieni voti in Economia e gestione aziendale a Bologna -. Ma noi non vogliamo giochi di potere, per questo ci fidiamo solo delle voci indipendenti. Come i blog». Internet è considerato il mezzo di comunicazione per eccellenza, destinato in questo secolo a «cannibalizzare» gli altri media.

Conseguenza? «Se mi chiedono di scegliere tra un’esperienza professionale nel motore di ricerca Google o un’assunzione a tempo indeterminato al Tesoro, non ho dubbi: scelgo Google», racconta Emanuele Parisotto, laurea in Ingegneria al Politecnico di Torino. «Non so se riuscirei a mediare con certe realtà della pubblica amministrazione – ammette Marilù Misto, laurea in Giurisprudenza a Bari – perché, lo sappiamo bene, in Italia tutto è legato alla politica». È quello che questi giovani chiamano «protezionismo dei fannulloni»: persone incompetenti messe in ruoli di responsabilità più per conoscenza che per meriti.

Ma ciò non significa che la politica sia tutta da buttare. Però è meglio parlare di chi ha responsabilità pubbliche e dimostra di esserne all’altezza, piuttosto che di parlamentari privilegiati. Un vero leader? «Uno che sa prendersi le proprie responsabilità – dice Daniele Piacentini, Scienze del giornalismo a Verona -, ma anche uno che si dimette quando sbaglia. E, se serve, sa pagare di persona».

Un modello dal punto di vista etico per l’opinione pubblica, insomma. Dotato di carisma, ma anche di credibilità. Con un progetto preciso, ma anche «disinteressato» nel senso più alto del termine. Disposto a scommettere senza pensare immediatamente a un tornaconto. «Bill Gates è un leader, anche nella coerenza dei suoi comportamenti verso gli ultimi», dice Emanuele, forse pensando alle iniziative benefiche del fondatore di Microsoft. «Anche papa Benedetto XVI lo è – si inserisce Marilù – perché chiede conto all’umanità delle proprie scelte».

Qualcuno cita anche il passo evangelico «Ama il prossimo tuo come te stesso», traducendolo così: «Sii coerente e giusto con gli al tri, come vorresti che gli altri fossero con te». Se possibile, fai il bene dietro le quinte, «come padre Giancarlo Bossi, nel nascondimento e tra gli ultimi». Poi all’improvviso la discussione si arena: non è facile trovare nomi di grandi personaggi all’altezza della propria missione e per la prima volta i neolaureati sono in difficoltà.

A proposito: qual è la missione per cui spendersi nei prossimi anni? Su questo punto c’è massima uniformità: vincere la povertà, soprattutto in Africa. Lo dice Brahim Baya, originario del Marocco, con laurea in Studi internazionali a Torino, secondo cui «le discriminazioni nello sviluppo economico sono alla radice di fenomeni come il terrorismo».

Non è retorica dire che tra questi studenti l’opzione della pace appare come l’unica possibile per dirimere le controversie internazionali, mentre esce ridimensionato l’allarme climatico. «Al Gore fa riflettere, ma quando sento parlare di cambiamenti epocali nei prossimi anni resto abbastanza scettico», dice Emanuele. Sulle grandi visioni tutti d’accordo, ma a sorpresa le divisioni ci sono quando si affronta il cortile di casa: qual è la città metropolitana che sogni?

Roberta La Gattuta, una laurea in Economia all’Università di Bologna, non ha dubbi: serve più integrazione con i nuovi arrivati, soprattutto gli immigrati. «Più aree verdi, per bambini e anziani», risponde invece Giulio Piccinini, Ingegneria a Torino.

Complessivamente, la maggioranza dei giovani vede in una cattiva luce le scelte di repressione della microcriminalità portate avanti da alcuni sindaci, ma c’è anche chi reclama più sicurezza. «Al fondo di tutto deve esserci fiducia. Fiducia in se stessi, nel lavoro che si fa, nel rapporto con i collaboratori», interviene Marilù. Fiducia è l’altra parola-chiave per capire questa generazione. Occorre avere «fiducia» in un sistema formativo in crisi, mentre «i test truccati nelle prove di ammissione alla facoltà di Medicina sono l’esatto contrario di un modello che premia il merito. Invece, chi pensa di scavalcare tutti con i soldi spesso la fa franca».

Occorre avere «fiducia» e perseverare per trovare un posto di lavoro all’altezza delle proprie attese, mentre «la riforma più urgente, quella della liberalizzazione degli accessi alle professioni, ancora latita e la trasparenza è un miraggio». Occorre «fiducia» infine nella dialettica intergenerazionale, nel rapporto con chi è già classe dirigente da tempo e magari nemmeno se ne accorge (e neppure ci pensa ad andarsene). «Ai fenomeni tipici di corruzione e malcostume, bisogna rispondere rilanciando la responsabilità etica ed educativa dei genitori nei confronti dei figli». Detto dai figli, fa un certo effetto.

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Immagini dell'articolo:

Avvenire
La pag. 3 di Avvenire del 4 ottobre 2007
Diego Motta
Diego Motta © p40.it
Pasquale Quaranta
Pasquale Quaranta ritratto da Iqbal Rustom © p40.it

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