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Colpi al Coroh

A Roma un progetto d’avanguardia per la prevenzione delle malattie sessualmente trasmesse rischia di estinguersi per mancanza di fondi e per eccesso di pastoie burocratiche. Intanto sempre meno gente chiede di sottoporsi ai test per l’Hiv.

di , Pride, ottobre 2011, p. 14

Quante volte si vorrebbe essere più informati e rassicurati su sesso e salute? In genere ogni volta che si ha la consapevolezza o il sospetto di aver avuto un rapporto sessuale a rischio. Quando ciò accade, a chi rivolgersi? Parlarne col medico di famiglia potrebbe essere per molti un’esperienza imbarazzante per varie ragioni. Ma anche cercando un’assistenza più specialistica si possono vivere difficoltà riguardo alla riservatezza o può accadere di trovarsi di fronte a medici e infermieri non abbastanza preparati a relazionarsi con persone omosessuali.

Per rendere l’accesso ai test più semplice e andare oltre queste preoccupazioni, il circolo di cultura omosessuale Mario Mieli di roma aveva promosso nel 2007 il “Progetto Coroh: prendersi cura di sé migliora la salute di tutti”. Un’iniziativa di prevenzione finanziata dall’Istituto superiore di sanità (VI° programma nazionale di ricerca sull’aids), in collaborazione con l’Istituto dermatologico San Gallicano e l’ospedale San Giovanni a roma, che ha consentito di effettuare visite, controlli diagnostici ed esami di laboratorio gratuitamente.

Fino a qualche mese fa bastava presentarsi presso uno dei due centri ospedalieri nei giorni feriali, senza appuntamento né prescrizione, e richiedere direttamente ai medici di poter fare un controllo. Medici in questo caso competenti, che in modo confidenziale informavano sui possibili rischi e trattavano le persone con il dovuto rispetto. A volte capitava anche di incrociare qualche volontario del Mario Mieli e pensare: “Ok, sono nel posto giusto e in buone mani”.

Purtroppo le condizioni nel tempo sono cambiate e il Progetto Coroh si è via via snaturato, ufficialmente a causa della mancanza di fondi. E il risultato è stato la drastica riduzione del numero delle persone che si sottopongono ai test. Il motivo? Servirsi del Coroh è diventato sempre più difficile. Infatti per continuare a usufruire di questo servizio di prevenzione (restano gratis solo i test Hiv, sifilide e i tamponi mentre altri esami, come le epatiti, ora si pagano) occorre passare prima dal proprio medico.

Per essere controllati all’Istituto San Gallicano bisogna farsi scrivere sull’impegnativa la dicitura “visita dermatovenereologica, codice DE1.12, ambulatorio malattie sessualmente trasmissibili”. Una formula che solo al pensiero di dettarla al medico o all’assistente, fa venire l’orticaria. Non c’è quindi da meravigliarsi se molti, soprattutto giovani, sono stati scoraggiati dal continuare a richiedere controlli regolari.

Ma non finisce qui. Bisogna anche richiedere la visita al centro unico per le prenotazioni sanitarie della Regione Lazio (numero verde 803 333) e ricevere un appuntamento (nel migliore dei casi lo si ottiene tre-quattro giorni dopo la telefonata). Una barriera di accesso che non va nella direzione auspicata originariamente dal progetto ma che al contrario aumenta la riluttanza a fare i test e a monitorare il proprio stato di salute.

Di fronte a varie testimonianze di pazienti rammaricati che il servizio non sia più quello di un tempo, per capirne qualcosa in più ci siamo rivolti al dottor Massimo Giuliani, promotore scientifico del progetto Coroh e specialista presso il reparto di dermatologia infettiva dell’Istituto San Gallicano. “Qui da noi”, spiega, “sono circa 600 le persone che tornano regolarmente a fare i controlli. nuove norme della direzione sanitaria e della regione hanno impedito che l’accesso continuasse a essere libero. Cercheremo di ristabilirlo perché per noi è un passo indietro infinito. Per quanto riguarda i fondi, abbiamo appena ricevuto un piccolo contributo da un’azienda farmaceutica e speriamo di ricevere ulteriori finanziamenti e di inserire qualche test in più, ad esempio per l’herpes genitale o la clamidia”.

Massimo Farinella, referente progetti salute presso il circolo Mario Mieli, ci risponde che si impegnerà a incontrare i direttori dei centri ospedalieri per capire a quali risorse poter attingere. Nel frattempo l’assistenza offerta rimane lacunosa. All’ospedale San Giovanni i tagli del servizio sono stati anche più importanti che al San Gallicano: a eccezione del test Hiv, sono stati sospesi tutti i prelievi ed è stato espresso un divieto categorico: “Non sono accettate nuove persone per il progetto”.

Il Coroh era un modello esportabile anche su scala nazionale per tenere alta la soglia di attenzione sui comportamenti a rischio, causa continua di nuove infezioni la cui cura ovviamente influisce sui costi della sanità pubblica che grava sulle tasche dei cittadini. Prevenire, si sa, è meglio che curare anche per il portafoglio. Ma, al di là delle questioni di convenienza economica, questo progetto aveva l’ambizione di formare “una coorte estesa di persone omosessuali e transessuali su cui monitorare l’incidenza dell’infezione da Hiv mediante un sistema di sorveglianza avanzato”.

Il progetto Coroh, anziché ridimensionato e sostanzialmente condannato a esaurirsi, andrebbe rifinanziato ed esteso anche ad altri ospedali nella regione. il governatore del lazio, Renata Polverini, protagonista di una campagna di comunicazione istituzionale sulla salute intitolata “Mi state a cuore”, dovrebbe onorare questo impegno. In caso contrario i suoi elettori non potranno che giungere all’amara conclusione di essere stati presi in giro.

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