p40.it


sito di Pasquale Quaranta

Sei in: home > lettere > "Delitto nel sottobosco dei fotoreporter"

"Delitto nel sottobosco dei fotoreporter"

Una lettera e un appello al “Manifesto” da parte di dieci giornalisti gay italiani per denunciare la scorretta rappresentazione del Gay Pride nei media.

di , www.p40.it, 4 giugno 2008

Sabato 31 maggio sul “Manifesto”, per illustrare un articolo sul Gay Pride del 2008, è apparsa una foto che rappresenta una donna a seno nudo nel mezzo di una strada.

Colpisce il fatto che questa immagine corrisponda alla rappresentazione che del “Pride” danno le destre per cercare di impedirli: una manifestazione scollacciata di assatanati/e che girano nudi/e per la città, e magari copulano in mezzo alla strada.

In realtà lo scorso anno, su circa un milione di partecipanti al Pride nazionale di Roma, era presente in tutto una decina di persone che hanno scelto la provocazione della nudità, e molte di loro non hanno neppure completato il percorso, andandosene subito dopo aver attirato la consueta calca di fotografi assatanati attorno a sé.

Possiamo comprendere i motivi per cui i cattolici e le destre si fossilizzino ogni anno su questa decina di persone, che sono in effetti le uniche ad apparire sui loro giornali e sulle loro tv: loro intendono trasformare una manifestazione politica per la visibilità delle persone lgbt in qualcos’altro, e quelle immagini li aiutano in questa distorsione. Non mostrano mai le mamme con le carrozzine, non mostrano le famiglie, non mostrano le coppie, non mostrano i loro colleghi di lavoro e compagni di partito: tutto ciò che desiderano vedere sono le tette al vento. E quello solo vedono, fotografano e pubblicano.

Ogni anno notiamo quanto giornalisti e fotografi maschi ed eterosessuali siano morbosamente ossessionati da queste immagini, al punto da accalcarsi, spintonandosi, esclusivamente nei punti del corteo nei quali un viado si denuda per i loro flash, normalmente incoraggiato dalle loro ovazioni. È uno spettacolo morboso e maschilista, che però “stranamente” nessuno mostra mai, eppure la morbosità e la miseria sessuale dimostrata in questo ogni anno dai nostri colleghi sarebbe semmai il vero fenomeno giornalisticamente interessante.

Ciò detto, non comprendiamo per quali motivi un giornale come “il Manifesto” perseveri, dopo 37 anni di movimento lgbt in Italia, a comportarsi esattamente come i giornali di destra.

Come giornalisti sappiamo tutti che la scelta di un’immagine non è mai “neutrale”. Che una foto non descrive un fatto, ma racconta un punto di vista.

Se ogni volta che si parla di ebrei si pubblica la foto di un usuraio, se ogni volta che si parla di Africa si pubblica un cannibale in gonnellino, se ogni volta che si parla di Pride si pubblica un viado nudo, abbiamo un problema. Perché sono effettivamente esistiti ebrei usurai, africani in gonnellino, e viados nudi al Gay Pride, e quindi queste immagini fanno effettivamente parte della realtà, tuttavia quando tali immagini sono le uniche a cui è permesso rappresentare la realtà, ecco il problema. Che si chiama “razzismo”.

E se nessuno sembra accorgersene, neppure a sinistra, il problema è doppio. Ciò vuol dire che il razzismo, con le sue rappresentazioni schematiche e caricaturali, ha ormai inviso profondamente il nostro immaginario collettivo, e quindi ha trionfato.

Noi non vogliamo arrivare al punto di proibire puramente e semplicemente l’accesso dei Pride ai viados solo perché il loro comportamento “ci dà una cattiva immagine”, come chiedono ad alta voce i gay di destra. Perché le persone tran* presenti ai Pride sono ogni anno centinaia, ed il Pride appartiene a loro tanto quanto al mitico “gay in cravatta”, mentre le ballerine con le tette nude non sono mai più di dieci.

Non tocca quindi a noi discriminare sulla base di un’appartenenza ad una minoranza piuttosto che ad un’altra. Tocca ai giornalisti capire il senso di una manifestazione politica, e contestualizzare le immagini, dimostrandosi capaci di scegliere quelle che meglio descrivono l’evento, senza focalizzarsi, anno dopo anno, sempre sulle stesse: i viados con le tette al vento.

Per esempio, nel nostro caso, piazza San Giovanni a Roma completamente riempita dai manifestanti del Gay Pride del 2007, più numerosi di quelli del tanto pubblicizzato “Family day”. Sarebbe stata una foto troppo “scomoda” per il vostro giornale? O magari, semplicemente più appropriata al tema discusso, visto che si parlava della negazione di quella stesa piazza nel 2008?

E non ci si risponda che si è usata quella foto solo perché era l’unica disponibile, specie per un giornale come “il Manifesto” che non naviga certo nell’oro, e che quindi prende quel che riesce a trovare. Ormai letteralmente centinaia di fotografie dei Gay pride di tutto il mondo sono disponibili gratuitamente attraverso WikiCommons. Basta collegarsi e digitare Gay pride in Italy.

Se non lo si fa, evidentemente, non è perché costi denaro farlo (le foto sono gratis), ma perché farlo richiede una mentalità diversa da quella dei giornalisti di destra. Mentre quando si tratta dei diritti lgbt, come ha dimostrato l’ultimo decennio di politica dei partiti e dei governi di centro-sinistra, la differenza fra destra e sinistra, in Italia, è straordinariamente tenue. Ammesso che di differenza si possa parlare…

Sperando che almeno “il Manifesto” intenda differenziarsi da questo quadro, almeno in futuro, chiediamo la pubblicazione di questo nostra lettera.

I giornalisti gay: – Iscritti all’Ordine di:

Stefano Bolognini – Lombardia
Mario Cervio Gualersi – Lombardia
Alessandro Còndina – Lombardia
Giovanni Dall’Orto – Lombardia
Alessio De Giorgi – Toscana
Scilitan Gastaldi – Marche
Franco Grillini – Emilia-Romagna
Claudio Malfitano – Veneto
Vincenzo Patanè – Veneto
Pasquale Quaranta – Campania

Torna su ^