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Gay Pride a New York, dove tutto ebbe inizio

I colori, il popolo e le emozioni del Gay Pride nella città in cui nel 1969 tutto nasceva. Il racconto. Le foto. Da New York, Giuliano Federico.

di , Gay.tv, 24 giugno 2007

Sono passati 38 anni da quel Giugno del 1969 in cui nel bar Stonewall del Greenwich Village un pugno di checche si ribellò alla polizia. Una scintilla che incendiò il mondo e innescò una combustione lenta e inesorabile, che anno dopo anno sta carbonizzando la paura soggiogatrice degli oppi religiosi e i vincoli dei pregiudizi verso le persone omosessuali e transessuali.

I newyorchesi insistono su un termine: the march. La marcia. Non chiamatela Parade, non chiamatelo Gay Pride, quella di oggi è la marcia. E bisogna essere qui per capire che l’unica cosa che conta è esserci con il proprio corpo. È il corpo quel che conta più di ogni altra cosa, perché è del nostro corpo che hanno paura, sono i nostri corpi che vorrebbero cancellare. Sono i nostri corpi che hanno vessato per secoli e secoli. Sono i nostri corpi che ancora oggi in molti posti del mondo vengono spazzati via con la morte.

Sono passati 38 anni e oggi sono qui, il mio corpo è qui, con quello del mio fidanzato, insieme ad un milione e forse più di corpi, sotto un cielo magnificamente terso dal vento oceanico. Manhattan è uno spettacolo di luce azzurra, di scintillio di architetture falliche. Sulla Quinta Avenue l’orgoglio gay esplode in un tripudio di colori, suoni e normalità multietnica. Poliziotti e vigili del fuoco strappano l’applauso più scrosciante. Al loro passaggio, dai bordi delle strade su cui la città si è riversata come ad un evento di immancabile comunione cittadina, arrivano urla di gioia e commozione. È un’autentica festa di appartenenza. Appartenenza alla città, appartenenza ad una comunità che è New York, nella quale i gay ci sono e si sentono e si vedono ovunque: a Chelsea quartiere nuovamente homo, come nel glorioso Greenwich Village, nei club gayblack ancora un po’ clandestini di Harlem come nella neo radical chic Brooklyn, nella sfavillante Fifth Avenue come a sud dove gira la finanza di mezzo mondo.

New York oggi è gay, perché senza i gay New York non sarebbe New York. E questo è ciò che si respira oggi qui, alzando gli occhi ai piani alti dei grattacieli di Mid-Town, dove manager indaffarati anche di domenica, sbandierano piccoli arcobaleni di carta. Questo è ciò che oggi si respira qui, sorridendo alla folla divertita e ubriaca arrampicata su tetti e balconi delle residenze di Down-Town, sventolante gadget rainbow di ogni tipo.

C’è spazio per tutto e tutti nel corteo. Per le famiglie gay con i bambini, addobbate tutte di rosso, come il sangue che è vita. Per militari e cheer-boys, per teenager gay e lesbiche butch, per marchette che sponsorizzano il proprio sito come per i gay anziani. Ci sono quelli di Lambda Legal (avvocati a difesa dei diritti ltgb) e quelli di GLAAD (The Gay & Lesbian Alliance Against Defamation). Così come non manca la principale associazione lgbt cittadina. C’è spazio per politici che hanno fatto il carro, ci sono i ragazzi di Obama e c’è spazio per aziende di ogni tipo (multinazionali) nel corteo, per i sieropositivi e per i bear.

Ieri una coda polemica non ha rovinato la festa. Il sindaco ha vietato la festa pre-Pride di Chelsea, ma non c’è voglia di essere tristi per un party mancato, perché solo l’altro ieri invece l’Assembly dello Stato di New York ha approvato la proposta di legge del Governatore Spitzer (osannato durante il corteo) per la piena equiparazione del matrimonio. E così dopo Madrid, sarà New York, con un po’ di ritardo a dire il vero, l’altra grande metropoli a poter guardare in faccia i suoi cittadini gay ed essere certa di poter da loro pretendere pieni doveri, garantendo pieni e uguali diritti.

Dopo 4 ore di marcia e un tramezzino organic arraffato in un bar francese, io e il mio fidanzato ci appostiamo davanti allo Stonewall, nel Greenwich Village. Proprio lì dove tutto è iniziato. C’è un neon rosso. Tanta folla si è fermata qui. Una signora anziana con nipote alla mano ci grida “Bravi! Bravi! Baciatevi! Siete italiani vero?”, “Sì signora, anche lei?” “Sì, sì sono di Potenza!”. Guardo il mio fidanzato negli occhi, gli schiocco un bacio e lui mi passa una gelatina alla fragola.

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