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Gesù e la follia della normalità

Non ho scritto per il Potere, né per il Ribelle, ma neanche per essere strumentalizzato e punito dai politici e i farisei locali.

di , 1 febbraio 2005

Caro Pasquale,

così, ci ritroviamo a muoverci tra l’amore per Gesù e la “follia della normalità”, il solito circo politico-mediatico. Continuo a pensare che il libro vada letto, non strumentalizzato fermandosi al solo titolo, e che occorre essere chiari nel dire che della sessualità di Gesù non sappiamo nulla, eccetto che era un maschio ebreo del suo tempo e che il suo coraggio consisteva nell’essere tenero.

Poiché salva il ragazzo (pais) del centurione e perdona l’adultera che volevano lapidare, Gesù è anche un uomo virile – a differenza dei farisei salernitani che invece di agire per il bene comune reagiscono alla sola idea che ci si possa interrogare sulla sessualità di Gesù. Non abbiamo bisogno né di un Gesù gay né di un Gesù eterosessuale o asessuato. Abbiamo bisogno del Cristo risorto, ovvero del Gesù della fede, che non è né uomo, né donna, né ebreo, né greco, né etero né omo, e nemmeno cristianista, buddhista, new age, islamico o iscritto alla Caritas salernitana, a An o all’Arcigay. Occorre salvaguardare il valore “universale” del Cristo.

Come cristiani siamo chiamati a una vita “nuova” ed “eterna” che va ben oltre il sesso e le dimensioni della nostra esistenza terrena. Benché il sesso e la dimensione terrena siano importanti, non ci si può rinchiudere nell’egoismo del piacere senza sminuire la grandezza e la preziosità della vita umana che si svolge nel tempo e nello spazio, ma è però chiamata a una pienezza di vita che consiste nella partecipazione alla vita stessa di Dio.

Ridursi a essere nient’altro che un eterosessuale, un omosessuale, un gay, un queer o un bi, come se fosse un’identità fissa e contratta e non una storia contingente, aperta e non necessaria, significa rinchiudersi in una piccola idea, spesso polarizzata e reattiva, della relazione con se stessi, con l’universo mondo, con gli altri e con l’Altro.

È questo che cerco di dire in L’uomo che Gesù amava, riportando ogni cosa – dopo aver esercitato liberamente e responsabilmente il diritto di andare sui limiti dell’ovvio che ci costituisce – a Cristo e all’insegnamento della Chiesa Cattolica, che è una, santa, apostolica e romana, e al suo insegnamento.

Benché personalmente non condivida alcune posizioni ufficiali in materia di morale sessuale, trovo ingiusto voler negare alla Chiesa – per avversione e odio ideologico immotivato – ogni sapere sul bene. D’altra parte, non approvo neanche l’uso strumentale e nichilista che si fa del mio libro, senza peraltro neanche averlo letto, ma solo per partito preso e per rafforzarsi nei propri pregiudizi. Così facendo, credo che ci si allontani da Gesù Cristo, che nondimeno resta e apre le menti e i cuori a un soffio di eternità ovunque ci sia – gay o non gay e Caritas più e meno pelosa – un gesto d’intelligenza, di poesia, di compassione o di pietà gli uni altri, nel prendersi cura gli uni degli altri e del bene comune e della città.

Non ho scritto, con Pasquale Quaranta che è l’Autore della sezione documentaristica, per il Potere, né per il Ribelle, ma neanche per essere strumentalizzato e punito dai politici e i farisei locali. Continuo a pensare che il libro vada letto, perché oltre alla funzione di analizzatore sociale delinea un percorso di liberazione evangelica, umana e civile. Perlomeno queste erano e restano le intenzioni dell’Autore, che naturalmente ha anche lui i suoi limiti e non pretende certo di aver avanzato tesi non discutibili. Tutto si può discutere.

Altra cosa però sono i toni apocalittici, penitenziali e farisaici di An, che partita al galoppo accusa il mio libro di essere “delirante” e poi trasforma – come per improvvisa amnesia – Salerno in una Sodoma arcaica e allucinata. Altra cosa sono anche i toni di alcuni dirigenti della Caritas salernitana che giungono fino a invocare punizioni islamiche (e cioè lo sgozzamento) per chi scrive o presenta un libro, sia pure discutibile, nella bella e civile città di Salerno del XXI secolo, che non merita tanto indegno bailamme. E alla quale, vorrei aggiungere, essendo nato ad Angri, resto legato da radici comuni, affetti e care memorie. Città accogliente, Salerno, ma pur sempre il mondo! Altra è l’accoglienza e la pace che attraverso il necessario pentimento, il perdono reciproco e la croce ineludibile da ogni vita che si dice umana, Egli promette a chi si converte a Lui: «Vi lascio la pace, vi dò la mia pace. Non come la dà il mondo, io la dò a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore» (Giovanni 14:27).

Come sai, caro Pasquale, un dio oscuro, un dio stragista, come di quello di Sodoma invocato da certi cristianisti di Salerno quasi islamici, non porta niente di buono né a noi né alla città. Un Dio che non sia Persona non m’interessa. Quello in cui crediamo è il Redentore che in obbedienza al Padre ci vuole sani e salvi come fratelli e sorelle che si prendono cura gli uni degli altri.

Con l’augurio che alla scrittura risponda la Scrittura, e che il Vangelo della Vita in cui crediamo possa costituire per noi vera voce che risponde, accoglie e libera, e non sia un’eco.

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