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Gustavo Gnavi, il Pride incontra la Chiesa

Il presidente dell’associazione “Davide e Gionata” incontra i rappresentanti ecclesiastici di Torino in occasione del Pride.

di , Gay.tv, 12 giugno 2006

È la prima volta gli organizzatori di un Gay Pride designano un responsabile per i rapporti con le Chiese cristiane e le religioni. Gustavo Gnavi, presidente emerito dell’associazione Davide e Gionata (primo gruppo di omosessuali credenti nato a Torino il 10 gennaio 1981), guarda al Torino Pride 2006 con entusiasmo: «Da quel che ne so – spiega – è anche la prima volta che una manifestazione del genere si rivolge alle varie religioni. Tutto ciò è conseguenza del modo con cui a Torino si è impostato il Pride. Chi sente questa parola pensa subito alla sfilata ed ai suoi aspetti un po’ carnevaleschi, mentre un Pride comprende anche altre iniziative. Il Pride torinese vuole coinvolgere il più possibile gli altri, omosessuali e non, che di solito stanno a guardare e spesso a criticare. Così ci si è rivolti agli enti locali, ad associazioni, gruppi e quindi anche ai responsabili delle chiese cristiane ed a quelli di altre religioni».

Avete avuto successo? Anche l’arcivescovo di Torino, card. Severino Poletto, vi ha ricevuti.
Sì, in un primo tempo il cardinale Poletto aveva delegato due sacerdoti per mantenere i contatti col comitato del Torino Pride 2006, per vedere se all’interno di questo vi fossero delle iniziative culturali alle quali potesse partecipare anche la Chiesa cattolica torinese. Poi, su richiesta del comitato, ha deciso di incontrare i responsabili del Pride.

Cosa vi siete detti?
È stato un incontro privato in cui abbiamo presentato il programma della manifestazione e abbiamo discusso della data della sfilata. In un primo tempo si pensava al 24 giugno, giorno in cui la Chiesa ricorda S. Giovanni Battista e Torino festeggia il suo patrono. Ma non avrebbe avuto senso mettere insieme le due celebrazioni. Così la sfilata, che intendiamo trasformare il più possibile in una festa popolare, proprio per far partecipare più gente possibile, si terrà il 17 giugno 2006.

Come ha risposto il cardinale alla vostra proposta?
Ha semplicemente espresso alcune perplessità, proprio sulla sfilata, perplessità che aveva già rese pubbliche durante la festa patronale torinese di S. Giovanni dello scorso anno.

È da più di 25 anni che segui il Davide e Gionata. Ti era mai capitato di parlare con un cardinale?
Non darei eccessiva importanza a questo episodio. Il cardinale, durante il colloquio, ha sottolineato la sua disponibilità a incontrare chiunque ne faccia richiesta. Personalmente gli ho ricordato che nell’omelia che tenne durante la S. Messa il giorno del suo ingresso a Torino, disse di essere il pastore di tutti e di voler ascoltare tutti. Mi pare abbia proprio messe in pratica queste sue parole. È possibile dialogare ed eventualmente fare un po’ di strada assieme, anche se le posizioni possono essere diverse. Trovo significativo e importante che il card. Poletto abbia delegato due sacerdoti a seguire certe iniziative del Pride.

E avete incontrato, poi, questi sacerdoti?
Sì, il primo incontro è servito per una conoscenza reciproca e per uno scambio di vedute. Prima di Natale ci siamo incontrati un’altra volta e abbiamo cercato di capire se era possibile fare qualcosa assieme.

Quindi, in conclusione?
È ancora presto per parlare di conclusione. Ma come dice un proverbio: “Chi ben inizia… ”. E l’inizio è stato positivo. All’interno del Torino Pride 2006 si è costituito un gruppo di lavoro su “fede e omosessualità” composto dai rappresentanti delle diverse realtà locali: i gruppi Davide e Gionata, La Rondine, La Fenice e La Scala di Giacobbe, una rappresentanza degli omosessuali appartenenti alle Chiese Valdesi, Metodiste e Battiste, una rappresentanza del Forum delle donne lesbiche Les4Pride e alcuni simpatizzanti.

Torniamo al Davide e Gionata e alla tua lunga esperienza. Nel corso di questi anni hai avuto altri contatti con esponenti della gerarchia cattolica?
Indubbiamente sì, sia per conoscenza diretta, sia per tentare in certe occasioni di stabilire dei contatti per l’associazione. Ho comunque l’impressione che spesso, da ambo le parti, ci sia un po’ di difficoltà e di paura a fare il primo passo.

In che senso?
Ma sì, è la solita difficoltà che incontriamo da anni! È facile avere dei contatti personali e non credo esistano vescovi capaci di sbattere la porta in faccia a chi chiede un incontro. Ma quando dal singolo si passa alla organizzazione di cui egli fa parte, le cose cambiano. Gli stessi gruppi di gay credenti temono, secondo me, di trovarsi di fronte a un rifiuto e di ricevere solo critiche per cui tendono a evitare confronti; e i vescovi temono, incontrando i gruppi, di dare l’impressione di avallare certe forme di aggregazione non sempre in linea col Magistero.

È proprio così difficile incontrarsi?
Se riuscissimo, almeno all’inizio, a vedere prima di tutto le persone, anche se organizzate in gruppi o gerarchie, e poi i ruoli che questi hanno, sarebbe già un primo passo. Poi credo che i gay credenti dovrebbero smetterla di lamentarsi e di compiangersi perché il Magistero li rifiuta o, come spesso si dice, perché sono considerati “fuori” dalla Chiesa. Spesso siamo noi per primi ad allontanarci dalla Chiesa; dovremmo invece fare il possibile per vivere serenamente nelle nostre comunità, partecipando alla vita delle nostre Chiese locali, senza voler a tutti i costi mettere in evidenza la nostra diversità e le nostre idee, ma senza neppure negarle, e accettando chiaramente anche opinioni e modi di fare diversi.

Quest’anno ricorre il 25° anniversario di fondazione del gruppo.
È difficile fare un bilancio perché gruppi come Davide e Gionata non operano su aspetti “eclatanti” ma piuttosto sull’intimo delle persone. Quando è nato, e anche prima dell’81 quando Ferruccio Castellano cominciò a parlare di omosessualità e a tentare di mettere in piedi qualcosa a Torino, a parte il FUORI di natura più politica, Davide e Gionata era una realtà unica e i gay credenti avevano paura anche solo a farsi vedere assieme. Ma c’era la necessità di incontrarsi e di parlare. All’inizio degli anni ‘90, quando il gruppo si trasformò in associazione, era maturata in molti la consapevolezza della necessità di darsi da fare non solo per se stessi ma anche per gli altri.

E oggi?
Oggi mi pare si tenda a ritornare all’individualismo, allo stare assieme per se stessi e basta. Certamente a molti qualcosa l’associazione ha dato, anche solo un po’ di coraggio e di serenità per accettarsi e tirare avanti. Si poteva fare di più e anzi si potrebbe fare di più, proprio nell’aiutare le persone ad acquisire una sensibilità comunitaria soprattutto all’interno della comunità ecclesiale.

Tra le finalità del Davide e Gionata c’è anche quella di approfondire alcuni aspetti della dottrina cattolica che mettono in crisi le persone omosessuali e credenti. Quali sono questi aspetti?
Essenzialmente due: il concetto di natura, e quindi di contro-natura, e le finalità della sessualità. Non ci vuole molto a capire che fin quando sulla natura umana si ha una visione fissista, per non dire manichea, legata al dualismo maschio-femmina, considerato alla base della creazione, l’omosessualità sarà sempre contro-natura, sarà sempre un disordine nell’ordine voluto da Dio e quindi non accettabile. E fin quando si metterà l’accento soprattutto sull’aspetto procreativo della sessualità, l’affettività sessuale in genere, ma soprattutto quella omosessuale e le sue manifestazioni, saranno sempre condannate.

Qual è il contributo dei gruppi di gay credenti a questa discussione?
Prima di tutto dobbiamo essere convinti che vale la pena esserci per tentare comunque un confronto con chi non la pensa come noi, e costruire insieme qualcosa. A volte si ha l’impressione di tentare di intaccare un muro di cemento armato con un coltellino e così si finisce per rinunciare. Di fronte a un muro qualcuno potrebbe pensare di usare della dinamite ma non credo siano questi i metodi.

Cosa proponi?
Prima di tutto, da parte dei gay credenti, ci vuole un grande impegno a studiare, ad approfondire, a prepararsi bene non solo per poter affrontare le discussioni ma per portare un contributo diverso agli studi, alla ricerca al dibattito sulla sessualità e sulla fede. In secondo luogo, proprio perché abbiamo una fede che ci guida e ci sostiene, non possiamo ignorare che questa fede deve penetrare profondamente anche nel nostro essere omosessuale e quindi anche nel nostro modo di vivere, nei nostri comportamenti quotidiani. Occorre passare dalla “libertà” conquistata (il “sessantotto”, l’emancipazione sessuale, i diritti umani…) all’essere veramente liberi, ricordando che la libertà non è mai disgiunta dalla responsabilità.

Potremmo, a questo punto, parlare di etica omosessuale?
Forse parlare di un’etica omosessuale è troppo, ma se pensiamo ad esempio a tutto il discorso che si sta facendo sulle coppie, sulle unioni di fatto e così via, se pensiamo che forse un giorno si arriverà anche all’adozione da parte delle coppie omosessuali, credo sarebbe necessaria anche una riflessione sul nostro modo di vivere l’essere gay. C’è bisogno di un grande impegno a capire che non sempre per gli “altri” è facile accettare ciò che sino a poco tempo fa era addirittura innominabile. Fermezza sì, nel presentare le proprie richieste e nel pretendere di essere considerati come tutti, ma anche maggiore disponibilità da parte nostra. Forse è più facile fare uno straordinario coming out che vivere da omosessuali la quotidianità. Credo che dovremmo passare dall’orgoglio omosessuale alla serenità omosessuale.

Se dovessi fare un augurio al Davide e Gionata per i suoi 25 anni?
Sarebbe facile augurare lunga vita ma gruppi come il nostro sono destinati a scomparire quando non ci sarà più la necessità di essere un punto riferimento. E fin quando esistono, questi gruppi, devono essere pronti a cogliere le esigenze del momento e a impostare le loro attività in modo diverso. Potrei perciò augurare al Davide e Gionata e a tutti i gruppi di gay credenti italiani, di continuare ad avere coraggio, coraggio per mettersi sempre in discussione. E ad avere entusiasmo per essere capaci di stare al passo coi tempi.

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