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Jetta ’o sanghe! Come discriminare l’altruismo

«Jetta ’o sanghe» direbbe da queste parti un omofobo a un ricchione napoletano. Ma cosa accadrebbe se, mettiamo il caso, l’omofobo di turno avesse bisogno di sangue e solo un ricchione potesse donarglielo?

di , Babilonia, ottobre 2005, n. 9, pp. 60-61

Questa domanda mi frulla nella testa da quando Paolo Pedote, 39 anni, è stato rifiutato come donatore dal Policlinico di Milano in quanto omosessuale. Questa norma vergognosa, emessa attraverso un decreto del 1991 dall’allora ministro De Lorenzo, è stata soppressa dal governo Amato nel 2000. Nel 2001 il decreto sui donatori di sangue, approvato grazie alla mediazione tra le associazioni gay e il ministro Veronesi, ha eliminato dalla modulistica le informazioni sull’orientamento sessuale e quindi rimossa definitivamente l’omosessualità tra le cause che escludono alla donazione. Chiaro, non esistono “categorie” a rischio (omosessuali, ebrei, neri, ecc.) ma “comportamenti” a rischio. Fortuna che Paolo, che di omofobia se ne intende (suo il saggio Omofobia per Stampa Alternativa scritto con Giuseppe Lo Presti), abbia trovato il coraggio e la volontà di denunciare l’accaduto prima a “Pride”, mensile gay diretto da Giovanni Dall’Orto, e successivamente al quotidiano “la Repubblica”.

Ma come hanno capito che sei gay, Paolo?
Dopo aver fatto il test preliminare per verificare che i livelli della mia emoglobina fossero sufficienti per il salasso, la dott. ssa Elena Coluccio mi ha posto una serie di domande considerate di routine per neofiti della donazione.

Cosa ti ha chiesto la dottoressa?
Che lavoro faccio, con chi vivo, che tipo di vita conduco, se svolgo sport oppure no, se in passato ho avuto malattie importanti, se ho assunto droghe di qualsiasi tipo, se ci sono della tare di famiglia, casi di tumori, epatite a, b, e c, malattie ereditarie, altre malattie legate alla sessualità.

E cosa le hai risposto?
Niente, sono sempre stato sano come un pesce!

Poi la dottoressa ti ha chiesto se hai rapporti con una partner fissa o rapporti con partner femminili occasionali non protetti, giusto?
Sì, le ho risposto che i miei rapporti sono sempre protetti e mai a rischio. E ho aggiunto che i miei partner non sono donne ma uomini perché sono gay.

Apriti cielo! [risate]
La dott. ssa Coluccio era nel panico totale e tra uno strano risolino e due colpetti di tosse ha improvvisato: “Allora, io so che la legge permette anche agli omosessuali di donare il sangue ma noi, come nostra politica interna del Centro, abbiamo deciso di non accettarli.

*Discriminazione e omofobia: non è così, Paolo?
Sì, ho reagito indignandomi: “È omofobo!”, ho detto. Ma per la dott. ssa non si trattava di omofobia. Così mi ha invitato a fare un bel respiro e na ha approfittato per uscire.

A questo punto entra in scena il dottor Maurizio Marconi: cosa ti ha detto?
Che lui stava applicando solo le leggi dello Stato e dell’Unione Europea. Che il ministro Umberto Veronesi, firmando l’abolizione di questa norma discriminatoria nei nostri confronti, aveva compiuto soltanto un gesto ipocrita perché gli omosessuali maschi in Europa sono esclusi di fatto dalle donazioni di sangue.

Per quale motivo?
Perché siamo categorie a rischio. Le lesbiche, invece, possono accedere alla donazione.

Eppure tu hai spiegato di aver avuto solo rapporti protetti.
Certo, ma è “la peculiarità del rapporto omosessuale a essere sempre a rischio”, secondo il dottor Marconi. “Lei deve considerare – mi ha detto – che siamo in una società dove il sangue non manca così ci possiamo permettere di selezionarlo alla fonte”.

Non è così. A dimostrarlo è proprio l’Ospedale maggiore di Milano che, a partire da luglio, ha promosso una campagna pubblicitaria, con tanto di manifesti nelle metropolitane, pensiline Atm e uno slogan inequivocabile: “Se hai sangue nelle vene, dimostralo!”, per incentivare la donazione. Perché donare il sangue è un gesto di altruismo e responsabilità civile. Ma nella civilissima Milano, se sei gay e desideri donare il sangue, potresti essere scartato.

“Avevo la pressione molto alta, ero pieno di rabbia. Sono uscito amareggiato e umiliato dall’Ospedale, non mi sono mai sentito così offeso. Mi sono sentito in dovere di fare qualcosa.
Paolo ha voluto rendere testimonianza della discriminazione subita. Lo hanno intervistato i telegiornali, la notizia è stata ripresa dai maggiori quotidiani nazionali. Anche all’estero. Purtroppo non è la prima volta che si rifiuta “sangue gay”.

È sufficiente fare una semplice ricerca in Internet per scoprire che nel 2001, per esempio, nell’Ospedale di Bolzano, Enrico Oliari, presidente dell’associazione GayLib, denunciava dalle pagine di un giornale locale: “Voglio donare il sangue, ma continuano a impedirmelo perché sono omosessuale”.

Anche nel 2003, questa volta a Bari, addirittura in tre ospedali viene vietata agli omosessuali la donazione di sangue. A denunciarlo è Michele Bellomo, presidente dell’Arcigay pugliese.

C‘è anche la storia di Laura, una ragazza milanese di 23 anni, che racconta al collega Federico Giunta di Gay.tv: «Al Centro trasfusionale Avis (Associazione volontari italiani sangue) mi hanno chiesto se avessi avuto rapporti occasionali di recente. Ho risposto di no, ho detto di essere fidanzata e di avere rapporti solo con quella persona. Poi la domanda: “Lei ha avuto rapporti omosessuali?” Ho risposto: “Io sono omosessuale”. La dottoressa, che ha detto di essere dispiaciuta, mi ha persino chiesto cosa ci fossi andata a fare: “Non sa che gli omosessuali non possono donare?“».

L’Arcigay riceve molto spesso segnalazioni di donazioni di sangue vietate alle persone omosessuali: “Nel Lazio ci sono ancora ospedali che discriminano i gay. Abbiamo ricevuto segnalazioni da Viterbo e Latina” denuncia Fabrizio Marrazzo, presidente dell’Arcigay di Roma.

Immediata la richiesta di un’interrogazione parlamentare. Franco Grillini, deputato diessino e presidente onorario di Arcigay, chiede di conoscere “quali iniziative intenda assumere il ministro per far cessare questi comportamenti illegali in atto, secondo Grillini, non solo nel Policlinico milanese “ma anche in altri ospedali italiani”. Nell’interrogazione viene inoltre chiesto al responsabile della Sanità italiana di “ripristinare il sistema di garanzie previsto dalla legge, consentendo a tutti i donatori di esercitare il loro diritto-dovere senza alcuna discriminazione”.

Il ministro della Salute, Francesco Storace, ha disposto l’apertura di un’inchiesta per accertare responsabilità amministrative o comportamenti sanzionabili penalmente. “Quanto accaduto al Policlinico di Milano – dice il ministro – è inaccettabile e potrebbe configurare l’esistenza di un reato. Storace ha altresì aperto alla possibilità di riconoscimento delle coppie omosessuali per quanto riguarda i servizi sanitari. “Ho sempre detto di essere contrario ai PACS, alle unioni civili. Lo confermo. Ma il problema del rapporto gay-sanità me lo pongo. E per questo sto seriamente pensando che dare alle coppie gay che hanno una situazione stabile la possibilità di registrarsi al servizio sanitario, sarebbe una cosa giusta”.

Sergio Lo Giudice, presidente nazionale dell’Arcigay, ricorda che l’ex ministro della Salute, Girolamo Sirchia, ai tempi dell’emissione del decreto Veronesi, quando era primario del Centro trasfusionale del Policlinico di Milano (nella struttura in cui si è verificato il caso Pedote, ndr) inviò una lettera al Ministero della Sanità per avere chiarimenti. Nessuna risposta. “Quando a capo del Ministero fu messo lo stesso Sirchia – racconta Lo Giudice – la cosa cadde nel vuoto. In assenza di una risposta formale, che neanche Sirchia invitò alla struttura ospedaliera, ancora oggi al Policlinico di Milano la nuova normativa viene disattesa”.

Ed è lo stesso Girolamo Sirchia, dalle pagine de “la Repubblica”, a rivendicare la paternità della decisione: “Occorre prudenza. Il medico ha agito secondo coscienza e rispetto della legge. La legge fissa dei requisiti minimi di sicurezza. Quelli massimi sono lasciati alla discrezionalità e alla coscienza del medico. E al Policlinico abbiamo scelto la massima prudenza”. No al sangue gay per il signor ministro, che aggiunge: “Le donne vanno bene. Nella prima categoria (quella degli uomini, ndr) c‘è una promiscuità maggiore, dunque per noi sono più a rischio. È da trent’anni che trattiamo la donazione a livello internazionale. Non accettiamo lezioni da nessuno”.

Fabio Saccà, responsabile nazionale Arcigay giovani, al grido “Giovani di ogni orientamento sessuale, donate sangue!”, ha ottenuto l’idoneità per tutti i volontari. “I giovani di Arcigay – spiega entusiasta – si sono presentati presso i centri trasfusionali di tutta Italia a effettuare le analisi necessarie per ottenere l’idoneità di donatore. La risposta dei medici è stata positiva. Medici e assistenti sanitari ci hanno rassicurato: nessuno può essere escluso dalla donazione per il proprio orientamento sessuale ma solo se ha tenuto comportamenti a rischio. Non è ammissibile che vengano usati due pesi e due misure a seconda del polo sanitario in cui ci si trova”.

Alba Montori, che si definisce “omosessuale dichiaratissima e pubblicamente fin dal lontano 1975” ma soprattutto “avisina”, fu fermata ed identificata assieme al suo compagno, Claudio Mori, per manifestazione non autorizzata del FUORI! (Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano): “Nel 1975 – ricorda – denunciammo con cartelli a Roma, nella Sala della Protomoteca in Campidoglio, le forme di omofobia strisciante dell’Avis, allora feudo democristiano. Negli anni seguenti ho avuto anche modo di accorgermi della pesante disinformazione scientifica. Un lungo lavoro interpersonale di controinformazione, fatto alla luce del solo anche se con molte difficoltà, ha portato il Centro trasfusionale di Viterbo, a cui fa capo la nostra associazione territoriale, ad assumere un atteggiamento non discriminatorio nei confronti degli omosessuali. Se Storace ha assunto una posizione così netta e laicamente ineccepibile contro le discriminazioni aprioristiche e antiscientifiche dell’Ospedale di Milano, è probabilmente anche grazie all’impegno profuso nella regione Lazio da chi, essendo coinvolto in prima persona, ha saputo più efficacemente contribuire a informare”.

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