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L’altro virus: 10 cose che tutti dovrebbero sapere per combattere l’omofobia

A 30 anni dalla giornata storica in cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha rimosso l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali, dieci “pillole” per capirne di più

di , La Stampa, 17 maggio 2020

Come un virus che respiriamo fin dalla nascita, l’omofobia, la bifobia e la transfobia rappresentano una pandemia silenziosa. Come è stato per il Covid-19, fatte le dovute proporzioni, non siamo in grado di risalire alla causa dei decessi – perché in alcuni casi di omofobia si arriva ancora a morire (“è morto di omofobia, o anche di omofobia?”) – per quel sipario di vergogna o di peccato che cala sulle famiglie e sulle storie personali. Altre volte è tutto chiaro: le associazioni denunciano, i giornali ne parlano e il fenomeno registra un aumento di casi.

A 30 anni dal 17 maggio 1990, giornata storica in cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha rimosso l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali, ecco dieci cose che tutti dovrebbero sapere per conoscere questa realtà e “distanziarsi socialmente” da alcuni pregiudizi. Una sorta di vaccino antiomofobia in dieci “pillole”, perché la malattia non è l’omosessualità ma l’omofobia.

1) Cos’è l’omofobia? Non è una malattia vera e propria classificata clinicamente, per questo gli studiosi e gli esperti della salute mentale, come il professor Vittorio Lingiardi per esempio, preferiscono utilizzare la parola “omonegatività”: omofobia o omonegatività indicano l’avversione (ideologica o personale) nei confronti delle persone gay e lesbiche – o delle persone bisessuali e trans nel caso della bifobia e transfobia – in alcuni casi dovuta al timore di scoprirsi omosessuali. Si dice scherzando – e non pochi casi lo hanno dimostrato – che “I primi omofobi sono gli omosessuali repressi”.

2) Gay si nasce o si diventa? L’omosessualità non è una scelta, quindi non si può cambiare. L’orientamento sessuale è il risultato dell’interazione di fattori biologici, genetici, ambientali e culturali. La Costituzione protegge l’orientamento sessuale tra i diritti fondamentali, come aspetto dell’identità personale di ogni persona. Omosessuali insomma si è, niente di più e niente di meno dell’essere etero.

3) Che differenza c’è tra omosessuale e transessuale? Le persone gay e lesbiche sono attratte, emotivamente, sentimentalmente e fisicamente, da persone del proprio sesso: si tratta quindi dell’orientamento sessuale. Le persone transessuali, invece, sentono di appartenere al genere opposto a quello assegnato alla nascita: si tratta dell’identità di genere. Quindi non sono sinonimi.

4) Si dice un trans o una trans? Rivolgendoci a una persona transessuale, dovremmo rispettare sempre il suo genere di elezione (o di destinazione) e accordare di conseguenza le parole al maschile o al femminile. Se Paolo si sente Paola, e vive secondo il genere di elezione, è corretto chiamarla Paola. Viceversa se Maria si sente Mario, e sta facendo il percorso da femmina a maschio (f to m) va chiamato Mario.

5) Esistono le persone bisessuali? E quelle “gender fluid”? Le persone bisessuali sono attratte da entrambi i sessi (orientamento bisessuale). Nell’ambito del genere, invece, ci sono persone che non riescono, non vogliono o non sentono di appartenere a un genere o all’altro. Sono quelle che rifiutano il binario di genere. Resta poi un grado di fluidità di genere potenziale, qualcosa di insondabile che guida il desiderio.

6) Dirlo o non dirlo? Dipende dalla persona. Se gli svantaggi nel vivere apertamente la propria condizione sono ancora molti, i vantaggi sono ancora più numerosi. Restare “nell’armadio” comporta un forte stress, rende difficile essere autentici e dare il meglio di sé. e non ci permette di dare il meglio di noi.

7) Outing e coming out sono la stessa cosa? No. L’outing è rivelare l’omosessualità altrui senza il permesso e contro la volontà della persona interessata. È una pratica utilizzata dai movimenti gay più radicali negli Usa ai danni di politici segretamente omosessuali ma pubblicamente omofobi. Il coming out invece è rivelare consapevolmente e liberamente la propria omosessualità.

8) Gestazione per altri, utero in affitto e maternità surrogata sono la stessa cosa? Se ne sente parlare quando due padri rivendicano i diritti dei propri figli ma questa tecnica di procreazione assistita riguarda nella maggioranza dei casi coppie eterosessuali. Con la prima espressione si intende la scelta libera e consapevole di una donna di mettere al mondo un figlio per qualcuno che non può farlo. È una scelta altruistica in cui le coppie gay si fanno carico delle spese mediche e assicurative della donna.

L’espressione “utero in affitto” è usata non solo nei casi in cui può esserci un effettivo sfruttamento (in alcuni Paesi come la Cina o l’India), ma anche dai detrattori di questa pratica che denunciano lo sfruttamento in ogni caso, a prescindere dalla scelta della donna.

Maternità surrogata è un’espressione impropria perché mettere al mondo un figlio non implica automaticamente il diventare madre. Madre è chi vuole essere o si sente tale. In questo senso, per esempio, la legislazione consente in Italia a una donna di non essere riconosciuta come madre al momento del parto.

Comunque la si chiami, anche se per finalità altruistiche, la pratica è vietata in Italia dalla legge 40 del 2004 ed è quindi un reato che prevede pene fino a due anni. Molti dei Paesi in cui questa pratica è legale consentono di accedervi solo alle coppie eterosessuali. I Paesi in cui sono noti casi di sfruttamento o rischi per le donne non consentono l’accesso alle coppie omosessuali.

9) Omofobia e transfobia, a che punto siamo in Italia? Secondo l’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali, il 62% delle persone lesbiche, bisex, gay e trans (lgbt) in Italia non dichiara il proprio orientamento sessuale; il 32% dichiara di evitare di tenere per mano il partner per paura di molestie o aggressioni; il 92% pensa che il proprio Paese non si impegni per nulla o quasi per nulla in una lotta efficace contro l’intolleranza.

Nella mappa di Ilga Europe (International lesbian and gay association – Europa) siamo l’ultimo Paese tra i fondatori dell’Unione europea a non avere una legge contro l’omofobia e la transfobia. Giovedì 21 maggio riprenderanno i lavori in Commissione giustizia alla Camera sulla proposta di legge contro l’omofobia del deputato Pd Alessandro Zan, con l’intenzione di votarla alla Camera dei deputati entro fine luglio. Di matrimonio egualitario invece non si parla e non è all’ordine del giorno nell’agenda di Parlamento e Governo.

10) Scuola e “teoria gender”. Per la scuola italiana gli studenti e le studentesse che si scoprono omosessuali, bisessuali o trans sono per lo più invisibili. Si dà per scontato che la popolazione scolastica sia fatta solo di persone eterosessuali e l’approccio didattico, le materie curricolari e l’intero sistema della formazione non è preparato a tenere un approccio affermativo verso l’orientamento omosessuale, bisessuale o la transessualità.

Le conseguenze negative portano a una maggiore incidenza dei suicidi tra giovani lgbt, maggiore dispersione scolastica e maggiori rischi per la salute, come dichiarato dall’Unesco nel 2011.

Conseguenze negative ci sono anche per la maggioranza della popolazione scolastica eterosessuale, perché la mancata esposizione dei ragazzi e delle ragazze alla diversità, all’uguaglianza e alla tolleranza indebolisce la coesione sociale, come ha avuto modo di dire la Corte europea dei diritti umani (Bayev e altri contro Russia, 13 novembre 2017, § 82).

Sempre secondo la Corte, i punti di vista dei genitori, in questi casi, devono essere bilanciati nel senso che la scuola – affrontando questi temi – non ha altra scelta che adottare il criterio dell’oggettività, del pluralismo, dell’accuratezza scientifica ritenuta l’utilità di certi tipi di informazioni per un pubblico giovane.

Tutto questo è etichettato dai detrattori come “teoria gender”, ovvero come un piano sovversivo di una presunta “lobby gay” (un’altra sciocchezza) che mirerebbe a far diventare tutti omosessuali e transessuali, mentre – come si è scritto – ognuno ha il suo orientamento sessuale e la sua identità di genere che la conoscenza e la cultura possono rafforzare, ma non modificare.

Allo stesso modo, c’è chi propaganda “terapie di riconversione sessuale” o “terapie riparative” che sono condannate dalla scienza: fanno solo danni alle persone, soprattutto ragazzi e ragazze che le subiscono, perché non c’è niente di rotto da riparare e ogni persona è bella per quello che è, e bisogna aiutarla a volersi bene per questo, e fare crescere la sua autostima.

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