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La volontà di sapere

Relazione per il Corso di Studi Culturali e studi gay, cattedra di Teoria della Letteratura, prof. Francesco Gnerre, Laurea Specialistica in Editoria, Comunicazione multimediale e Giornalismo, Università di Roma Tor Vergata, A. A. 2007/2008

di , www.culturagay.it, 8 febbraio 2008

Quella di Foucault non è una storia dei comportamenti sessuali nelle società occidentali, ma il modo in cui questi comportamenti sono diventati oggetti di sapere. «Come, cioè per quali vie e per quali ragioni, si è organizzato questo campo di conoscenza che, con una parola recente chiamiamo la “sessualità”?» (p. 7).

È la genesi di un sapere che Foucault vorrebbe riafferrare alla radice chiedendosi se per decifrare i rapporti tra potere, sapere e sesso, si deve centrare tutta l’analisi sulla nozione di repressione della sessualità. La domanda essenziale che si pone Foucault è questa: «la produzione di discorsi cui si è attribuito (…) un valore di verità è legata ai vari meccaismi ed istituzioni di potere?» (p. 8).

Se all’inizio del XVII secolo «le pratiche cercavano raramente il segreto» (p. 9), nel periodo della borghesia vittoriana la sessualità viene accuratamente rinchiusa. Mette casa nella famiglia coniugale uomo-donna legittimata dal matrimonio che la assorbe nella serietà e nella cerimonia della funzione riproduttiva. Lo schema eterosessuale detta legge, «s’impone come modello, rende efficace la norma, detiene la verità» (p. 9). Di contro, ciò che è altro si trasforma in “anormale”, ne riceve lo statuto e deve pagarne le sanzioni.

Eppure anche quelle che Foucault chiama «sessualità illegittime» (p. 10) sono reinserite nel circuito del profitto (dalle case chiuse alle case di cura):

«… innumerevoli profitti economici – spiega più avanti Foucault – che per il tramite della medicina, della psichiatria, della prostituzione e della pornografia, si sono innestati ad un tempo su questa moltiplicazione analitica del piacere e su questa intensificazione del potere che lo controlla» (p. 48).

L’irruzione della parola

La trasposizione in discorso del sesso, il solo fatto di parlane, ha un tono di «trasgressione deliberata» (p. 12). È essenziale capire chi parla di sesso e perché, come ne parla, con quale scopo e quando.

Ma come parliamo noi, invece, del sesso? Con quale sentimento? Con quale coscienza?

Secondo Foucault, abbiamo «coscienza di sfidare l’ordine stabilito, tono di voce che lascia intendere che si sa di essere sovversivi, ardore nello scongiurare il presente e nell’invocare un avvenire di cui si pensa di contribuire ad affrettare la venuta» (p. 12).

A farci parlare di sesso in termini di “repressione” ci spinge la volontà di cambiare le leggi che governano la sessualità, in ragione del nostro diritto dell’immediato e del reale, del fatto che viviamo adesso, qui ed ora, e desideriamo cogliere i frutti delle nostre battaglie.

Siamo coscienti del fatto che la produzione discorsiva che “il potere” – ma sarebbe meglio declinare subito questo concetto al plurale – pone in essere intorno al sesso organizza anche i silenzi, i divieti.

Per Foucault bisogna «interrogare il caso di una società che da più di un secolo si fustiga rumorosamente per la sua ipocrisia, (…) denuncia i poteri che esercita e promette di liberarsi delle leggi che l’hanno fatta funzionare» (p. 14).

Ma siamo davvero sicuri che sono queste leggi ad aver fatto funzionare la nostra società? In altre parole, cosa sarebbe stata la nostra società senza queste leggi? Si tratta di comprendere, ancora una volta, ciò che è dato, ciò che è imposto, ciò che possiamo scegliere per essere quelli che siamo, e ciò che ci rende più felici.

La scoperta dei segreti

Foucault smaschera il confessionale come meccanismo del potere cattolico al funzionamento del quale il discorso sul sesso è diventato essenziale per controllare i corpi, le coscienze, le menti.

Ma del sesso si è fatto anche un discorso che non sia unicamente di morale, ma di razionalità, sotto forma di ricerche quantitative, contabili, classificatorie, perché il sesso va gestito, inserito in sistemi di utilità al fine di «regolare per il più gran bene di tutti» (p. 26).

Dal momento in cui bisogna analizzare il tasso di natalità – perché un paese deve essere popoloso se vuol essere ricco e potente – il comportamento sessuale viene considerato oggetto sia d’analisi sia d’intervento: nasce l’analisi dei comportamenti sessuali.

«I razzismi del XIX e del XX secolo – denuncia Foucault – vi troveranno alcune delle loro radici» (p. 28) secondo la logica che lo Stato deve sapere ciò che ne è del sesso dei cittadini e deve essere capace di controllarne l’uso che essi ne fanno. «In nome di un’urgenza biologica e storica, [la Scientia sexualis] giustificava i razzismi di stato, allora imminenti. Anzi, li fondava come “verità”» (p. 50).

Del sesso se ne occupa dunque la medicina (attraverso “le malattie dei nervi”), poi la psichiatria (attraverso la ricerca dell’eccesso, dell’onanismo, delle “frodi alla procreazione”, delle perversioni sessuali), infine la giustizia penale (attraverso la sanzione di crimini “enormi” e contro natura). Ma del sesso ne parla anche la demografia, la biologia, la pedagogia, la critica politica, tanto da far affermare a Foucault che «forse nessun altro tipo di società ha mai accumulato, ed in una storia relativamente così breve, una tale quantità di discorsi sul sesso» (p. 33).

Gli ultimi tre secoli, scrive Foucault, sono caratterizzati dalla varietà degli strumenti inventati per parlare di sesso, per farne parlare, per organizzarlo in condizioni definite: una prolissità immensa. Ma si chiede paradossalmente Foucault: «tutto questo non prova che il sesso è sotto segreto e soprattutto che si cerca ancora di tenervelo?» (p. 35). Cosa allora, ci chiediamo noi, in questa ottica, caratterizza davvero le società moderne?

Se non la condanna del sesso a restare nell’ombra, la condanna a parlarne sempre e a far passare il sesso come un segreto appunto, come “il” segreto. E attorno a questo segreto si dice no alle attività infeconde, si bandiscono i piacere irregolari, si riducono in dignità o si escludono pratiche che non hanno per scopo la generazione umana. Ancora, si definisce una norma dello sviluppo sessuale, si identificano tutte le deviazioni possibili, si organizzano controlli pedagogici e cure mediche, si confonde fede e scienza, si produce «un vocabolario enfatico dell’abominazione» (p. 36). Tutto questo, secondo Foucault, è volto ad assicurare il popolamento e la riproduzione della forza lavoro, la fissazione e lo sviluppo delle parentele, la trasmissione dei nomi e dei beni, in sintesi quel «dispositivo di alleanza» (p. 94) che ha fra i suoi obiettivi quello di mantenere la legge che le governa: così si estendono le forme di controllo.

Sulle fantasticherie o i grandi furori

Nel XVIII e XIX secolo il matrimonio “legittimo” caratterizza ed è funzionale al sistema, «un movimento centrifugo rispetto alla monogamia eterosessuale (…) la regola interna a cui viene riferito il campo delle pratiche e dei piaceri» (p. 38).

Ci si interroga sul «piacere di coloro che non amano l’altro sesso» (p. 38), sulle fantasticherie o i grandi furori: “sessualità periferiche”, le definisce Foucault, che mediante un “movimento di riflesso”, interrogano la “sessualità regolare”.

Si estrae da ciò la dimensione specifica, già accennata, del “contro natura”: i “perversi” sono vicini ai delinquenti e si apparentano ai pazzi, popolano “case di correzione”, colonie penitenziarie, tribunali, manicomi.

Foucault cerca di decifrare i meccanismi di potere che operano in modo molto più subdolo di una semplice proibizione. Questo è un punto nodale: non basta più, per comprendere il reale, ragionare intorno alla proibizione del sesso e alla sua repressione. Perché se è vero che i piaceri nascosti si costruiscono come segreti, è anche per metterli in condizione di essere scoperti. Allora i poteri avanzano grazie al bersaglio che essi stessi hanno inventato, un bersaglio che si estende creando «specificazioni nuove degli individui» (p. 42). Un esempio di queste nuove specificazioni è la sodomia, quella degli antichi diritti civile o canonico, ovvero un tipo particolare di atti vietati. Vale la pena leggere quanto Foucault stesso scrive (e circoscrive), ne La volontà di sapere, dell’omosessuale del XIX secolo; con queste parole dà, in qualche modo, i natali all’intera “specie”:

«L’omosessuale del XIX secolo, invece, è diventato un personaggio: un passato, una storia, ed un’infanzia, un carattere, una forma di vita; una morfologia anche, con un’anatomia indiscreta e forse una fisiologia misteriosa. Nulla di quel ch’egli è complessivamente sfugge alla sua sessualità. Essa è presente in lui dappertutto soggiacente a tutti i suoi comportamenti poiché ne è il principio insidioso ed indefinitamente attivo; iscritta senza pudore sul suo volto e sul suo corpo perché è un segreto che si tradisce sempre. Gli è consustanziale più come una natura particolare che come un peccato d’abitudine. Non bisogna dimenticare che la categoria psicologica, psichiatrica e medica dell’omosessualità si è costituita il giorno in cui – il famoso articolo di Westphal del 1870 [Archiv für Neurologie, ndr] sulle “sensazioni sessuali contrarie” può essere considerato come data di nascita – è stata caratterizzata piuttosto attraverso una certa qualità della sensibilità sessuale, una certa maniera d’invertire in se stessi l’elemento maschile e femminile, che attraverso un tipo di relazioni sessuali. L’omosessualità è apparsa come una delle figure della sessualità quando è stata ricondotta dalla pratica della sodomia ad una specie di androginia interiore, un ermafroditismo dell’anima. Il sodomita era un recidivo, l’omosessuale ormai è una specie» (p. 43).

La medicalizzazione dell’omosessualità ha permesso un controllo sociale radicato, ma anche quello che Foucault descrive come «un discorso di rimando» (p. 90):

«l’omosessualità si è messa a parlare di sé, a rivendicare la sua legittimità o la sua “naturalità”, e spesso nel vocabolario e con le stesse categorie con cui era medicalmente screditata» (p. 91).

Importante è capire come intorno al sesso e a proposito di esso si è costruito un «immenso strumento per produrre la verità» (p. 52). Non ce ne siamo ancora liberati. Tant’è che l’obbligo delle confessioni (non soltanto quella cattolica) non è percepito come l’effetto di un potere che ci costringe; «ci sembra al contrario che la verità (…) non chieda che di farsi luce» (p. 55). Sembra piuttosto che una costrizione la trattenga e che essa non possa rivelarsi che al prezzo di qualcosa come una liberazione. La confessione, paradossalmente, crediamo ci renda liberi perché «la verità non appartiene all’ordine del potere, ma è in parentela originaria con la libertà» (p. 56).

L’immagine capovolta del potere

Bisogna avere un’immagine capovolta del potere per credere che ci parlino di libertà tutti coloro che nella nostra civiltà vogliono farci dire ciò che siamo, quel che facciamo, quel che ricordiamo e quel che abbiamo dimenticato, quel che nascondiamo, quel che pensiamo non si debba pensare, quello a cui non pensiamo affatto. Così si assoggettano gli uomini e le donne.

A questo punto è importante chiarire cosa Foucault intende con il termine “Potere”, ovvero

«la molteplicità dei rapporti di forza immanenti al campo in cui si esercitano e costitutivi della loro organizzazione; il gioco che attraverso lotte e scontri incessanti li trasforma, li rafforza, li inverte; gli appoggi che questi rapporti di forza trovano gli uni negli altri, in modo da formare una catena o un sistema, o, al contrario, le differenze, le contraddizioni che li isolano gli uni dagli altri; le strategie infine in cui realizzano i loro effetti…» (p. 82).

Il potere è onnipresente: si produce in ogni istante, ovunque, perché viene da ogni dove. «È il nome che si dà ad una situazione strategica complessa in una società data» (p. 83).

Allora non basta pensare al quel Cristianesimo antico che ci avrebbe fatto detestare il corpo. Pensiamo piuttosto – suggerisce Foucault – alle astuzie con le quali siamo stati spinti ad amare il sesso, a conoscerlo, a sorprenderlo, ad estrarne la verità. Ci accorgeremo di esserci sottomessi ad un’austera monarchia del sesso al quale estorcere le confessioni più assurde. «Ironia di questo dispositivo: ci fa credere che ne va della nostra “liberazione”» (p. 142).


Michel Foucault, La volontà di sapere. Storia della sessualità I, Feltrinelli, 1978 (or. 1976). L’edizione a cui si riferisce la recensione è quella tradotta da Pasquale Pasquino e Giovanna Procacci.

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