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«Basta complicità». Intervista a Luisa Morgantini

Morgantini: “Smascherare le contraddizioni dei cosiddetti interventi umanitari, vere e proprie guerre”.

di , La Nuova Ecologia, settembre 2011, p. 58

Luisa Morgantini, già vicepresidente del Parlamento europeo e candidata al Nobel per la pace, si occupa di diritti umani e disuguaglianze di genere: «Nel riconoscimento delle differenze sessuali, il “mai più guerra” è un impegno che dà senso alla mia esistenza. Da piccola non volevo essere né uomo né donna. Sentivo il bisogno di emanciparmi dal dolore di essere bambina e di diventare donna: volevo affermare i miei diritti in quanto persona».

È una donna infaticabile, superati i 70 anni continua a diffondere le ragioni della nonviolenza, contro tutte le discriminazioni. Partecipa agli incontri delle Donne in nero, le israeliane e palestinesi che affrontano l’esercito in silenzio, vestite col colore della negazione, del “no” a ogni guerra, che sostengono come alle vendette e alle stragi non ci sia rimedio se non nel riconoscimento dei diritti di ciascuno. Nel corso degli anni ha cercato di costruire relazioni fra donne anche in altri luoghi di conflitto: Afghanistan, Iraq, Bosnia, Kosovo. Mettendo in discussione l’idea stessa di “nemico”.

«Sono nata nel 1940, la guerra l’ho sentita nella pancia di mia madre. Mio padre era un partigiano, ma di fronte alla mia ammirazione diceva: “Mai più la guerra”. Per anni non ho capito, pensavo che di fronte alle ingiustizie la risposta armata fosse una strada percorribile».

Quest’anno ricorre il 50esimo anniversario della Marcia per la pace. Che vuol dire essere pacifisti oggi e perché è importante partecipare?
Non mi piace la parola pacifismo, preferisco “nonviolenza”: una pace che è assenza di guerra ma anche lotta per la giustizia. Dobbiamo svegliarci dall’assuefazione. Disarmare il mondo e le menti dal militarismo. Bisogna partecipare alla Marcia per smascherare le contraddizioni dei cosiddetti interventi umanitari, vere e proprie guerre. Per denunciare gli “effetti collaterali” di tali interventi. Per svegliarci dall’assuefazione di cui siamo complici. Per disarmare il mondo dal militarismo e disarmare le menti.

Come valuta la rivolta contro il regime di Gheddafi?
Come Associazione per la pace, di cui sono portavoce, abbiamo ribadito il nostro “no” alla guerra. Non abbiamo condiviso le modalità di intervento francese e poi della Nato, la strada della diplomazia non viene mai percorsa. Si doveva garantire una soluzione politica, con la transizione dal vecchio regime e la tutela dei diritti umani.

Ci ripetono che la guerra c’è sempre stata e sempre ci sarà.
Lo diceva anche mia mamma, eppure vale la pena provare a percorrere un’altra strada, quella di riconoscere i conflitti senza negarli, cercando di superarli, partendo dal riconoscimento dell’altro per una convivenza civile. Assumiamoci la responsabilità, a partire da noi stessi, di agire e pensare nella solidarietà e nella nonviolenza affinché un mondo migliore sia davvero possibile.

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