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Ma i gay non sono una rissa televisiva

A proposito dell’omelia di Rignano: “La provocazione, studiata e strombazzata, ha colto nel segno trovando ampio spazio in giornali e telegiornali”.

di , La Gazzetta del Mezzogiorno, 28 dicembre 2003

La notizia la conoscete già: nella parrocchia Santa Maria Assunta di Rignano Garganico l’omelia della veglia di Natale è stata tenuta non dal celebrante, ma da un laico gay. La provocazione, studiata e strombazzata, ha colto nel segno trovando ampio spazio in giornali e telegiornali. Come al solito, una questione seria è stata trasformata in una disputa da bar, con tanto di barzellettina finale. L’assoluta fondatezza della richiesta degli omosessuali di non essere discriminati o, peggio, emarginati, non può finire in «scoop».

Che il parroco di Rignano non sia nuovo a trovate efficaci sul piano della provocazione è accertato: l’anno scorso, per esempio, ancora durante la messa della veglia, affidò l’omelia a un musulmano, sempre con l’obiettivo di sollevare un problema importante, come la possibilità di una pacifica convivenza con l’Islam. A questo punto temiamo già per l’omelia del prossimo Natale, perché proseguendo nella logica televisiva che lo anima, il parroco dovrà inventarsi un gesto ancora più forte: non tanto per offrire materiale ai media, quanto per rendersi credibile.

Che l’omosessualità sia un nervo scoperto della Chiesa – ma forse di tutta la società – è cosa fuor di dubbio e ancora molto c’è da fare perché la cosiddetta diversità sia accettata com’è sacrosanto che sia. Altrettanto fuori di dubbio, però, il fatto che problemi così delicati, che investono l’intimità della persona e i valori alla base della nostra socialità, non possono essere affrontati in quel modo. Perché alla fine non si fa altro che radicalizzare le posizioni: chi è contrario ai gay diventa ancora più ostinato nel suo rifiuto; chi è a favore vede ancora più torto negli altri. È la tipica situazione che – artificiosamente – si crea negli studi televisivi per sostenere un programma che per i suoi contenuti ha scarso interesse. Prendete il «Processo» di Biscardi, togliete tutta la rissosità di certi ospiti e vedete se rimane qualcosa d’interessante. L’effetto qual è? Che mezz’ora dopo la fine della trasmissione nessuno ricorda più nulla di niente.

Sotteso a questa logica c’è il rischio d’un razzismo strisciante: esaltare la diversità fino a farne un vessillo, una provocazione, significa allargare lo spazio che separa certi comportamenti da altri. La discriminazione comincia quando si indica una differenza, figurarsi sbatterla in prima pagina. Nell’esperienza di ciascuno non esistono il bianco e il nero come assoluti, ma un’infinita scala di grigi che sono il continuo mescolamento di bianco e di nero. Allora che senso ha voler cercare a tutti i costi un gesto forte, una provocazione?

Se davvero si voleva lavorare ad abbattere le discriminazioni forse sarebbe stato più opportuno approfondire il tema omosessualità. Nella Chiesa postconciliare non mancano le occasioni per affrontare (ma seriamente) i problemi del mondo, solo che presuppongono un lavoro pesante, intelligente e – soprattutto – in silenzio. Anche parecchi preti, però, sembrano afflitti dall’incontinenza mediatica e s’inventano ogni genere di attività – per carità, sempre a fin di bene – pur di avere il loro quarto d’ora di celebrità. Tanto che lo stesso papa ha di recente sentito il bisogno di raccomandare «che i preti facciano i preti».

Se quel parroco di Rignano voleva scuotere i parrocchiani sui temi dell’Islam o della omosessualità, non era capace di farlo con parole sue? La storia della Chiesa è piena di oratori incapaci e balbuzienti trasformati in grandi comunicatori perché credevano in quello che dicevano, senza bisogno di esibire gay e musulmani come in un circo.

La verità è che come in un debosciante gioco onanistico ci compiacciamo di quel che appare e che siamo in grado di far apparire, senza porci il problema dei contenuti, della sostanza di quel che facciamo. È una condanna, non riusciamo a ripudiare le logiche televisive che guidano ormai ogni nostra azione: da quando siamo in chiesa a quando siamo nella cabina elettorale. Perché se guardate alla politica scoprirete che il berlusconismo e la sinistra inconcludente che oggi vediamo sono ispirati dallo stesso principio dell’apparire piuttosto che dell’essere. Così i problemi prendono una deriva preoccupante, senza che si riesca ad andare al di là dei proclami. E per gli omosessuali o per le donne o per gli immigrati succede più o meno lo stesso: tanti gesti clamorosi, tanto «orgoglio», ma la sostanza non cambia, neppure la notte di Natale.

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