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Matrimonio gay: è la cosa giusta?

C’è davvero bisogno di avere il matrimonio etero anche per i gay?

di , Gay.tv, 19 novembre 2004

Per alcuni una legge sui matrimoni gay non apre alla differenza e a nuovi spazi di libertà, ma omologa il pur auspicabile e necessario riconoscimento legale e simbolico delle convivenze omosessuali a una “istituzione eterosessuale monogamica”.

Cosa c’entra il matri-monium con le persone omosessuali? Perché voler parassitare un’istituzione eterosessuale, invece di creare nuove forme di vita e nuove istituzioni? Un patto di amicizia e di convivenza, per esempio, che chi vuole può fare benedire nel nome di Venere Urania oppure da Gesù, se crede nell’Amore Eterno?

Ne abbiamo parlato con lo scrittore Gianni De Martino, autore – tra l’altro – di un blog e di un bel romanzo, Hotel Oasis (Mondadori 1988; Zoe 2001).

“Il matrimonio – spiega De Martino – è un’istituzione che storicamente lo stato laico deve alla Chiesa cattolica: nei primi secoli del cristianesimo si trattava di passare dal barbaro connubio dei guerrieri germanici al matri-monium – facendo tesoro anche delle istituzioni romane -, ovvero alla protezione della donna (che veniva rapita per il connubium) e alla tutela giuridica della maternità. Matri-monium segna, attraverso una cerimonia che è andata cambiando nel tempo, l’accesso giuridico della donna alla maternità legale. Più tardi, quando era importante per i signori feudali mantenere le proprietà all’interno delle famiglie, il matrimonio ha posto particolare attenzione specialmente alla tutela della filiazione legittima, alla educazione della prole, eccetera, fino al matrimonio borghese al quale acconciarsi, limitando in maniera più o meno ipocrita la propria libertà sessuale, in cambio di alcune compensazioni e una certa sicurezza”.

Ma anche nel matri-monium affetto e amore hanno la loro parte…

“Ma affetto e amore non costituiscono da soli il matrimonio, e inoltre affetto e amore si trovano anche in altri tipi di patti fra due o più persone che si amano e s’impegnano per la vita, o anche per realizzare insieme un bene provvisorio e lecito. L’affetto, l’amore, i piaceri condivisi e l’umana compagnia sfuggono, per fortuna, a quelle leggi prima ecclesiali e poi statali che hanno istituito il matri-monium. Non è una questione di termini, ma di storia, di leggi e di simboli. Come se duemila anni di storia, di filosofia, di progresso civile e di cure fossero passati invano. Come se tutto fosse uguale a tutto, come se fosse tutto lo stesso, nel regime dell’Identico. Una volta strappato il matrimonio a una presunta aristocrazia eterosessuale monogamica, questi perde il suo significato. E non sarà certo per aver introdotto il dato omosessuale nel matrimonio che i gay saranno uguali”.

Matrimoni gay in Italia: quale scenario si aprirebbe davanti agli occhi dei cittadini omosessuali?

“Ci si appiattirebbe, semplicemente, su una istituzione eterosessuale perbene, in osservanza al regime del re-coppia e l’esibizione di una vita virtuosa, prudente, informata, nemica del desiderio omosessuale, della sua specificità e differenza. Nel frattempo, si vivrà una relazione che è ancora tutta da inventare, dalla A alla Z. Cosa significa per due uomini vivere insieme, condividere la domesticità, i viaggi, le gioie, le confidenze, le tristezze, e scambiarsi dei piaceri? Significa amore, certo, e la convivenza di fatto comporta dei diritti e dei doveri che andrebbero riconosciuti e tutelati dalle leggi, ma non sarà certo l’appropriazione indebita dell’istituzione del matrimonio a dare una forma bella e civile a quella unione, contribuendo alla creazione di uno spazio più largo per tutti: sia per coloro che si vivono come eterosessuali, sia per coloro che si vivono come omosessuali o gay, sia per coloro che non si vivono come niente del genere, e magari si dicono queer, transgender, oppure onnisessuali”.

Restando in tema, Javier Marías1, scrittore spagnolo, commentava su la Repubblica delle Donne:

“Personalmente non capisco perché gli omosessuali s’incaponiscano a voler contrarre le nozze (a parte per questioni pratiche, come per esempio poter lasciare più facilmente l’eredità), ma tant’è. Ciò di cui non dubito è che, prima o poi, il fatto che una comunità finora esclusa (…) aspiri all’ordine, alla legalità, alla monogamia o monoandria, al compromesso, alla fedeltà, alla prescrizione, al contratto, alla struttura familiare che la Chiesa propugna, all’integrazione al lato conservatore del mondo, ad accettare le regole del gioco imposte dai benpensanti, presuppone per entrambe le istituzioni, matrimonio e famiglia, un’iniezione di vitamine senza paragoni. Se quelli che stanno fuori premono per stare dentro, significa che quel dentro è desiderabile, buono. Se i proscritti (…) anelano a rimanere iscritti, significa che iscriversi è raccomandabile e addirittura fashionable. Queste pretese imitative degli omosessuali, solo civili, non religiose né pertanto tendenti ad affossare la fede o i dogmi, danno l’esempio e favoriscono i propositi della Chiesa – non diciamo dello Stato – e rafforzano l’ordine da essa stabilito”.

“A questo punto – continua Gianni De Martino – bisognerebbe porre correttamente e sentitamente il problema alla Chiesa, ma senza ricorrere a banalità zapatere e dire che il matrimonio gay è la soluzione. Vorremmo un riconoscimento simbolico della bontà dei piaceri omosessuali e del nostro amore, e anche del fatto che una relazione affettiva stabile arricchisce la società dando una forma bella e civile al desiderio. In altre culture esistono istituzioni che valorizzavano le unioni omosessuali, senza peraltro mettere l’accento (come nella nostra cultura) sul sessuale. Il matrimonio, per sua formazione storica e il simbolismo che vi è connesso, è un’istituzione che occorrerebbe lasciare dove si trova, creandone altre che valorizzino le differenze, invece di confondere le cose e rendere demagogicamente tutto uguale a tutto, quando non lo è”.


1 Javier Marías, “Le nozze gay? Una benedizione”, la Repubblica delle Donne, 418, 18 settembre 2004, p. 40

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