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Nel nome di Pan

Peter Boom ricorda le croci e le delizie della sua lunga militanza gay e il suo credo pansessuale.

di , Babilonia, febbraio 2004, n. 228, pp. 46-49

[nota del 2006: questo è solo un estratto dell’intervista edita originariamente su Babilonia]


Joan Peter Boom, nato nel 1936 a Bloemendaal (Olanda) vive in Italia dal 1956. È un artista poliedrico: attore, cantante, doppiatore, paroliere, scrive in cinque lingue: olandese, italiano, inglese, tedesco e francese. Ha lavorato con Sofia Loren, Nino Manfredi, Mel Ferrer, Burt Lancaster, Joseph Cotten ed Erland Josephson. Militante gay da 44 anni, è l’ideatore della “teoria della pansessualità”. Dice di aver scoperto la sua omosessualità all’età di 23 anni e di averla dichiarata in famiglia nel 1959.

Cosa ricorda dei suoi primi anni di impegno?

Partecipai alle riunioni del Fuori! a Torino e anche alla prima manifestazione gay in Italia del 5/6 aprile 1972, nata per contestare un Congresso di Sessuologia a Sanremo. Erano presenti Françoise d’Eaubonne, scrittrice e accesa femminista francese, una rappresentanza addirittura dalla Norvegia e anche il nostro svolazzante Mario Mieli. Il fatto fece furore perché era la prima manifestazione omosessuale in Italia. La Polizia ci schedò tutti, ho ancora delle fotografie di quei giorni. Ricordo che una sera trovarono uno dei sessuologi, cattolicissimo, con un ragazzo in spiaggia… Il risultato fu positivo: lasciarono parlare Angelo Pezzana nella sala dove si svolge il Festival di Sanremo davanti all’assemblea dei sessuologi. Quando partimmo per tornare a casa il norvegese, un bellissimo biondino, e io ci baciammo appassionatamente davanti agli occhi esterrefatti di due poliziotti: con le leggi allora in vigore avrebbero potuto arrestarci… Il 1 maggio 1972 partecipai al primo raduno omosessuale a Roma a Campo de’ Fiori. In quello stesso anno uscì il primo disco gay in Italia con le canzoni Fuori e Lui ama lui / Lei ama lei, un 45 giri registrato alla Sonic (RM). Cantammo i brani una sola volta perché il titolare dello studio temeva l’ingresso dei carabinieri o eventuali ritorsioni. Erano davvero altri tempi! Il disco ancora senza copertina fu sequestrato a causa dell’etichetta «Ciao 2001» che era anche il nome di una nota rivista per giovani, la quale bloccò l’uscita non volendo compromettere il buon nome del periodico. La mia carriera venne di colpo bloccata: un cantante apertamente gay non poteva ancora essere accettato dalla società italiana e purtroppo ancora meno dagli stessi omosessuali.

A quel tempo lei apparve su giornali e riviste nudo su una croce, coperto solo dalla scritta «Fuori»...

Cercai di creare nuclei del Fuori a Bologna, Firenze, Trieste, Catania e Palermo. Il 15 ottobre 1972 partecipai al convegno di “Controcultura” a Milano, organizzato da Re Nudo, al quale parteciparono diverse organizzazioni omofile estere ed esponenti del movimento femminile e lesbico. Riuscii a salvare una certa quantità dei dischi già stampati e li spedii, nel 1975, alle radio libere che da poco avevano iniziato le loro trasmissioni in Italia. Radio Antenna Musica (Roma) mandò in onda il disco e mi fece un’intervista nella quale dichiarai di non essere sicuro dell’omosessualità di papa Paolo VI ma che, nel caso lo fosse stato veramente, come affermato da Roger Peyrefitte e da molte altre voci, allora sarebbe stata la persona più abietta e ipocrita del mondo, soprattutto dopo quello che aveva scritto sull’Humanae Vitae.

Quelle parole non le furono perdonate…

Due giorni prima dell’assassinio di Pier Paolo Pasolini subii un attentato che mi costò un dente, diverse abrasioni e un ginocchio che non potevo più piegare e che tuttora mi duole! Nell’aprile del 1976 i Carabinieri irruppero nella mia casa con un mandato che conteneva delle accuse infamanti.

Scosso da questi episodi di violenza, lei tornò in Olanda dove scrisse un rapporto delle sue disavventure in Italia ad un funzionano della Polizia olandese…

Tornato a Roma, presi parte al primo collettivo omosessuale con don Marco Bisceglia (fondatore dell’Arcigay ndr), Niki Vendola e pochi altri coraggiosi. Lì conobbi Franco Grillini. Fui uno dei fondatori dell’Arcigay di Roma e frequentavo l’Ompo’s di Massimo Consoli. A Nepi, a 40 km da Roma, su un giornale provinciale fu pubblicato un articolo dal titolo «Questa non è vita», nel quale veniva spiegato che il sesso si faceva di nascosto, soprattutto quello omosessuale. Nel pruriginoso paese scoppiò uno scandalo, con le risposte inopportune del prete alle quali risposi per le rime.

Il risultato?

Quando entravo nel bar la gente si spostava, al telefono ricevevo minacce di morte provenienti da una delle cosiddette “signore bene” di Nepi, molta gente non mi salutava più. Poi accompagnai in Comune due ragazzi che stavano insieme da 25 anni per chiedere al sindaco di sposarli. Scoppiò uno scandalo ancora più grande, con la Rai in piazza, interviste… puoi immaginare il casino. I ragazzi di Nepi si lamentavano con me: dicevano che quando andavano in discoteca i giovani degli altri paesetti limitrofi li prendevano in giro con frasi del tipo: «Nepesini, tutti froci!». Alcuni anni dopo, a Viterbo, riuscii ad ottenere la collaborazione del Questore Vincenzo Boncoraglio: nacque così il primo telefono amico gay di una Questura in Italia.

Lei è molto legato al ricordo di Alfredo Ormando: il 13 gennaio 1998 Alfredo si è suicidato dandosi fuoco in piazza San Pietro. Fu davvero vittima dell’omofobia vaticana?

Sì, è così... Nel febbraio ‘98 organizzai in piazza San Pietro la prima commemorazione di Alfredo: da allora l’Ormando Day è diventato un simbolo internazionale contro la discriminazione degli omosessuali da parte della Chiesa cattolica. Una donna raccontò di aver visto Alfredo mentre si versava addosso la benzina e correva avvolto dalle fiamme verso il centro della piazza. Un agente di polizia tentò di spegnere le fiamme usando la propria giacca. Prima di perdere conoscenza, Alfredo disse: «Non sono neanche stato capace di morire». Morì dopo 10 giorni di atroci sofferenze. Le lettere che si era portato appresso non furono pubblicate e il Vaticano rilasciò un comunicato dove affermava che Ormando si era suicidato perché aveva problemi in famiglia. Non è vero! Subito dopo la morte di Alfredo, l’Ansa ricevette le lettere e ne pubblicò una parte. Egli aveva inviato da Palermo una copia all’Ansa, prima di prendere il treno per Roma; sapeva benissimo che le lettere, una volta nelle mani dei preti, non sarebbero mai state pubblicate. Molte altre iniziative furono intraprese insieme a Pierangelo Bucci che aveva fondato il Circolo Pansessuale Dionysios-Arcigay di Viterbo. È stato un periodo di tensioni, minacce e scontri (anche a causa degli stessi omosessuali), a contatto con una popolazione di radicate tradizioni cattoliche. Articoli e pubblicazioni su quegli eventi sono custoditi dall’Archivio Massimo Consoli e all’Archivio di Stato.

Vuole spiegarmi cos’è questa “Teoria della Pansessualità?”

Certo! Credo che l’essere umano sia pansessuale, dal greco «pan» che significa «tutto», un essere cioè sessualmente completo. Ognuno di noi possiede varie “possibilità sessuali”: etero, omo, bisessualità, autoerotismo, feticismo, sadomasochismo, e molte altre “forme d’uso” sessuale, forme che possono esplodere da un momento all’altro in ogni essere umano. Il bambino, ad esempio, nasce polimorfo-perverso, gioca con la madre, tocca se stesso e tutto quello che gli capita, si masturba, poi diventa feticista godendo delle proprie feci, e più avanti giocherà a medico e infermiera per fare curiose esplorazioni, tutte manifestazioni perfettamente naturali. Nel periodo della pubertà, della crescita sessuale, si manifesta un’ambiguità accentuata, anch’essa assolutamente naturale ed innegabile. Più tardi ancora la sessualità diventa di solito più definita, ma rimane la gamma di tutte queste opzioni che, a seconda del tipo di società o tribù nel quale si vive, vengono parzialmente represse o “tabuizzate”. Nel Borneo ci sono tribù nelle quali le donne con i bambini vivono insieme in un grosso caseggiato e gli uomini dimorano in un altro edificio; in Kenya vive tuttora una tribù nomade di gente orgogliosa e molto longeva nella quale vige l’usanza dell’accoppiamento con giuramento di sangue tra maschi dodicenni: le coppie vagheranno per tutta la vita fedelmente insieme per quel vasto paese, tornando due o tre volte all’anno in seno alla loro tribù sugli altipiani, per intrattenersi con le donne ed assicurare così la procreazione. Gli esempi sono tantissimi, ma questa è materia degli antropologi.

Come vede il movimento gay in Italia?

È una storia del tutto particolare: il movimento è molto debole a causa di una sparuta partecipazione dei gay stessi alle attività militanti e organizzative. Soprattutto nelle province non esiste praticamente nessuna infrastruttura Glbt. In Italia i rapporti in privato tra omosessuali adulti e consenzienti non sono mai stati punibili per legge, la religione cattolica li ha sempre condannati con l’ipocrisia a lei usuale e, per questa ragione, vige ancora molto il detto «quel che non si vede…». Inoltre, il movimento è troppo politicizzato e questo forse per necessità; i gay perdono d’occhio facilmente i loro comuni nemici per darsi addosso a vicenda. Molti votano addirittura per i partiti che li condannano, come Alleanza Nazionale e Margherita, un fenomeno che chiamerei Sindrome di Stoccolma, l’amore per i propri carcerieri…

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