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Intervista a Francesco Gnerre sui sodomiti nella Divina Commedia.
di Pasquale Quaranta, La Nuova Ecologia, aprile 2012, p. 27
Francesco Gnerre è un docente che si occupa spesso nei suoi studi di letteratura gay. esce ora un suo commento alla Divina Commedia per la casa editrice Petrini – De Agostini.
Come concili il tuo impegno per i diritti delle persone omosessuali con l’attività di docente e di esperto di Dante?
«Non sono cose inconciliabili. Leggere i classici è un affascinante percorso di conoscenza, un confronto continuo con l’alterità, sia essa sociale, sessuale, etnica. La Commedia piace agli studenti perché è una straordinaria opera di poesia, ma anche una narrazione di miti di grande fascino, anche se lontani».
Per aver collocato il suo maestro Brunetto Latini nell’Inferno, Dante è considerato da alcuni il primo “omofobo” della letteratura italiana. Sei d’accordo?
«Non credo sia il caso di parlare di omofobia. L’omofobia nasce nell’Ottocento, quando viene inventata l’omosessualità e gli omosessuali diventano una categoria. Dante è un uomo del suo tempo e costruisce il suo Inferno sulla base della gerarchia dei peccati elaborata da Tommaso d’Aquino. E comunque la condanna di Dante in nome della legge divina non esclude né la riverenza affettuosa, né il rispetto ammirato per Brunetto».
Il peccato di Brunetto non era ancora una “malattia” di cui vergognarsi?
«Spesso si commette l’errore di leggere la cultura del passato con le categorie del presente e così molti critici hanno visto nell’episodio una specie di outing, ma per i contemporanei la sodomia di Brunetto non era un mistero se pensiamo alle poesie scritte per il giovane poeta Bondie Dietaiuti».