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Parola di scout

Dibattiti e polemiche sull’omosessualità e sulla sua compatibilità con il movimento stanno agitando le acque dello scoutismo italiano. Un resoconto della discussione con alcune testimonianze dirette.

di , Pride, giugno 2012, p. 10

Tre interventi sull’omosessualità a un seminario riservato ai capi scout dell’Agesci hanno aperto un acceso dibattito in cui è stata chiamata in causa l’intera associazione che riunisce centottantamila soci e ha gli statuti approvati dalla Conferenza episcopale italiana.

Il 12 novembre 2011, presso il Roma Scout Center, la redazione di Scout Proposta Educativa ha invitato il teologo domenicano Francesco Compagnoni e due psicologi, Dario Codardo Seghi e Manuela Tomisich, a tenere una relazione sul tema “Omosessualità: nodi da sciogliere nelle comunità capi”. Ne riferiamo ora perché gli interventi dei relatori e la sintesi dei lavori dei gruppi sono stati pubblicati solo il mese scorso sul sito dell’Agesci. Repubblica.it ha ripreso criticamente alcuni contenuti del seminario presumendo che gli interventi avessero valore normativo di “linee guida”. “Ma all’Agesci”, mi spiega il capo scout Valerio Colomasi, “le linee guida sono il Patto associativo e quanto votato al Consiglio generale. Tutto il resto lo discutiamo e lo rimandiamo alle decisioni dei singoli gruppi”. Valerio ha 21 anni e nel giugno 2011 aveva inviato una lettera aperta sul vissuto delle persone gay e lesbiche all’interno dell’associazione sia al quotidiano la Repubblica sia alla segreteria dell’Agesci. “Il silenzio sull’omosessualità”, scriveva Valerio, “è complice dell’omofobia”. La lettera non è stata pubblicata e Valerio non ha ricevuto alcuna risposta dall’associazione. “In compenso diversi capi omosessuali mi hanno contattato in privato perché preoccupati del loro futuro, non sanno se possono essere pienamente se stessi nell’Agesci o devono abbandonare lo scoutismo”.

Abbiamo letto le circa 50 pagine che raccolgono gli atti del seminario e il nodo più difficile da sciogliere è proprio questo: le persone omosessuali possano essere dei buoni capi scout come gli altri? Il più conservatore dei relatori è padre Francesco Compagnoni: “I capi che praticano l’omosessualità o che la presentano come una possibilità positiva dell’orientamento problema educativo”. Questa e altre affermazioni quantomeno “datate” hanno provocato oltre alla levata di scudi delle associazioni glbt anche la revoca da parte di un comune sardo, Jerzu, della concessione al gruppo Agesci di zona di godere delle strutture e dei servizi comunali. A meno che il singolo gruppo scout richiedente la concessione si dissoci dai contenuti discriminatori del seminario.

Plaude a questo provvedimento Ettore Ciano, papà sardo dell’Agedo, due figli entrambi omosessuali ed entrambi usciti dagli scout. “Ora”, ci dice, “i genitori che hanno figli negli scout sono preoccupati. Ho ricevuto la telefonata di una mamma che mi ha chiesto se i capi scout omosessuali possono far diventare omosessuale anche suo figlio. L’ho rassicurata: l’omosessualità non è infettiva”.

“Quella del seminario è un’occasione persa” ci dice Cristina Rapino, capo scout lesbica che nel 2001 è stata costretta a lasciare l’Agesci. “Uno dei principi scout è quello di testimoniare con la tua vita il bene che puoi fare, di essere fiera di te. Quindi è una contraddizione l’invito a non fare coming out, a nascondere una parte di te. Quando ho dichiarato di essere lesbica nell’Agesci mi hanno sospesa da ogni incarico educativo. Un giorno sono andata dal vescovo insieme alla comunità capi e il discorso sull’omosessualità veniva associato all’alcolismo, all’uso di droghe, alla pedofilia. Feci notare che non stavamo parlando di categorie di persone ma del mio caso specifico. Mi risposero che dal momento in cui avevo dichiarato di essere lesbica non ero più adatta al ruolo di capo scout. Il vescovo mi invitò a farmi analizzare perché potevo avere problemi ormonali, a cercare un supporto psicologico. Inutile dire che stavo benone, ma secondo il vescovo la psicologa che mi aveva ascoltata non aveva strumenti adatti. Forse alludeva alle terapie riparative ma allora ero completamente impreparata”.

Gli atti del seminario contengono anche una sintesi dei lavori di cinque gruppi: secondo Andrea Bilotti, che ha seguito il quinto gruppo, “per molti membri l’orientamento sessuale di un capo di per sé non confligge con il suo ruolo educativo”.

Mentre scriviamo oltre 500 capi scout, formatori e quadri dell’Agesci, prendono le distanze da quanto dichiarato da padre Compagnoni: “L’inclinazione sessuale di per sé”, affermano, non determina l’intenzionalità educativa, cuore pedagogico e operativo del nostro servizio. Affermiamo pertanto che, come abbiamo osservato e osserviamo nella nostra stessa esperienza prima di ragazzi e ora di educatori, l’omosessualità non è un ostacolo alla crescita delle persone come significative,
responsabili e felici”.

Non tutti gli scout hanno idee chiare sull’argomento e sono divisi. Patrizia Colosio di Lista Lesbica ci dice che al Roverway del 2006 a Firenze, un incontro internazionale di scout europei, avrebbe dovuto proporre un seminario sull’omosessualità dal titolo “Maschio e femmina li creò”. “Ma l’Agesci”, spiega, “riuscì a bloccarlo. I giovani dell’Agesci si schierarono al nostro fianco diffondendo per tutto il campo l’adesivo con una tenda arcobaleno e la scritta ‘stop omofobia’. Iniziò poi, nel loro forum, un dibattito e un confronto che, posso immaginare, è giunto fino a questo primo seminario”.

L’auspicio di Patrizia è “che il clamore mediatico suscitato dalla chiusura espressa dai cosiddetti ‘esperti’ serva da stimolo per un confronto reale, dal basso; che possa suscitare domande, curiosità, voglia di approfondire ricercando interlocutori che sappiano aprire i cuore e le menti”.

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