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A 70 anni lotto per mio nuoro

Lottare a settant’anni. Ha iniziato presto Rita De Santis, oggi neopresidentessa dell’associazione dei genitori degli omosessuali (Agedo).

di , l'Unità, 11 novembre 2007, p. 25

Rita De Santis (nella foto ultima a destra, da sx Alberti, Vaccarello, Quaranta) è di origine molisana, tre figli sono nati in Calabria, uno a Chieti, e un altro a Napoli. Ma dopo il divorzio decide di andare al Nord.

«Parto per mettere una distanza da Napoli e ricominciare con i miei cinque ragazzi. Scelgo il Nord immaginando che per loro sarebbe stato meno difficile trovare lavoro. E in qualità di insegnante di filosofia, con specializzazione in filosofia delle Scienze, chiedo il trasferimento. Ottengo un posto in provincia di Brescia».

La lettera. Per tenere unita la famiglia prende la strada più difficile e ricca: il dialogo. «Ho sempre preferito il dialogo al comando. Eravamo alla fine degli Settanta, il terrorismo e la diffusione delle droghe erano trappole in cui i ragazzi potevano cadere. Decido di parlare in ogni occasione per creare quei legami che avrebbero resistito a ogni minaccia».

Ci riesce, i figli crescono uniti. In casa si parla anche di emozioni, di sessualità, nonché di cultura e di politica.

Lottare a settant’anni. Ha iniziato presto Rita De Santis, oggi neopresidentessa dell’associazione dei genitori degli omosessuali (Agedo). Ha iniziato quando si è separata dal marito. Alla vigilia dei diciotto anni, il figlio Francesco, undicenne al momento della separazione tra i genitori, le scrive una lettera. «Mi sono innamorato, ho paura che questo mi divida dai miei fratelli, che loro possano non capire». Poi Rita conoscerà il compagno di suo figlio, e vorrà dargli la dignità del nome. Per tutti sarà “il nuoro”.

Poi, con la lettera in mano, Rita si ferma. Rilegge una volta, due. Riflette. Finché capisce. Denis è il nome di un ragazzo. Si apre allora dentro di lei il sentiero del rammarico, quella fitta di specialissimo dolore che può colpire i genitori.

«Abbiamo sempre parlato di tutto e io non mi sono accorta di nulla, non ho avuto nessuna intuizione. Ma dov’ero io mentre mio figlio soffriva? Rifletto ancora. La società non ci istruisce. Per noi i figli sono tutti etero, fino a quando l’omosessualità non ci tocca direttamente. Allora li chiamiamo diversi. Ma non c’è nessuna diversità, nessuna enormità. È amore e basta».

Rita De Santis è sempre stata di sinistra. Ma quando combatte il pregiudizio sui «diversi», si riferisce ai tanti che ancora, anche a sinistra, vedono gli omosessuali come una «categoria» a parte e non come cittadini senza diritti. «Il diritto per me è sacrosanto. Votai per l’aborto all’epoca del referendum, per fornire a chi lo volesse un diritto di scelta. Ma nella mia vita non ho mai scelto l’aborto. Adoro i bambini, non avrei potuto rinunciare a nessuno dei miei cinque».

Il dialogo. Parla con quel quinto «disperato», e lo rassicura. «Riunirò i tuoi fratelli, non temere. Nella nostra famiglia non cambierà nulla». Rita Riflette. «Il coming out di Francesco non era rivolto a me, sapeva che da me sarebbe stato accolto, ma era rivolto alla famiglia, lui non voleva nessuna spaccatura. Allora parlo con i miei quattro, li trovo un po’ perplessi, presi da quel disorientamento che io non mi ero permessa, perché l’amore di mamma non mi dava scampo».

Francesco intanto va a vivere in Liguria, e poi si trasferisce a Londra. Rapito dalla passione degli arei, ottiene un lavoro alla British Airways. E torna a casa con il suo nuovo amore, Robert. Rita prepara i suoi ragazzi. E intanto pensa: come lo presenterò in famiglia? Cosa dirò alla nuora dell’altro figlio, alla mamma di lei? Chi sarà per loro Robert?

Un posto in famiglia. «La nostra è una famiglia allargata. Il mio secondo figlio ha sposato una donna che aveva due figli, che a loro volta si sono già sposati. La figlia del mio primo ragazzo ha sposato un giovane albanese. Siamo una di quelle famiglie che cambiano. Ma non cambia il desiderio di essere uniti».

Robert e Francesco esprimono il loro amore. «Mi colpisce la delicatezza di Robert, non rincasa mai senza un fiore di campo, petali che poi ho trovato nei libri, sopravvissuti a tutto. Quando si salutano hanno sempre uno sguardo dolce, una carezza».

Rita comprende che la relazione non è solo sessuale, come la parola «omosessuale» impropriamente suggerisce. E la filosofa che è in lei, la donna che ama le nascite, commossa dai modi di Robert la spinge a coniare un nome: Il nuoro.

Il nome. «Nella mia famiglia avevano tutti una collocazione, persino il patrigno, Robert invece non aveva un nome, oltre a quello di battesimo. E da qui nasce una mancanza. Se non sei nominabile, non esisti in società. Non tanto nel rapporto a due, ma nella famiglia più allargata che è già una società. Allora lo chiamai dinanzi a tutti: mio nuoro».

Rita scrive un libro sul nuoro. Poi Robert e Francesco si separano. E per qualche tempo di Robert Rita non sa nulla. Finché arriva una telefonata. Un interprete l’invita a un incontro con i genitori di lui. Robert è morto, ma nel testamento ha lasciato le sue volontà: desidera che «Il nuoro» venga pubblicato. Il libro vede la luce. Attraverso quelle pagine Rita e Robert continuano a parlare, questa volta al mondo.

«Quando nel ‘96 vado a Milano per saggiare la distribuzione del libro, incontro Paola Dall’Orto ed entro in Agedo». Paola Dall’Orto ha fondato e presieduto l’associazione con coraggio e illuminazione. Di recente, arrivato il momento di cedere il testimone, non può, insieme agli altri, non pensare a Rita.

La Speranza. «Entrare in Agedo per me ha voluto dire la speranza. Oggi dico ai nostri parlamentari: ho cinque figli, perché quattro devono essere di serie A e uno di serie B? Non mi rivolgo ai preti, anche se vorrei tanto dialogare con loro, poiché non condividiamo lo stesso principio. Mi rivolgo ai rappresentanti dello Stato Laico di cui sono cittadina».

Rita dialoga, e riflette. «Noi dovremmo avere un nuovo vocabolario per nominare le famiglie che cambiano. Anche per le cosiddette ragazze madri non c’è ancora un nome. Non avere nome significa non avere valore sociale. Vuol dire andare a scuola e non poter parlare del partner del proprio genitore se si tratta di omosex, anche se è un uomo tanto amato».

Francesco stringe una relazione con un uomo, Andrew, che ha due figli, negli stessi mesi nascono una nipotina di Francesco e un bimbo figlio del figlio di Andrew. «Francesco ha comperato a entrambi i neonati un tappetino a forma di tartaruga, su cui distendersi e giocare. Lo stesso dono. Sono uniti dalla piccola tartaruga, segno dell’amore di Francesco. Ma chi è Francesco per il nipote di Andrew? Nessuno».

Perché nasca un essere alla vita sociale degli affetti ci vuole un nome. Il diritto al nome è il diritto al posto in famiglia. «Voglio che l’Agedo si rafforzi, che si tessa una grande maglia tra tutte le associazioni che lottano per i diritti negati», dice Rita. E sa che lottare per il nome è lottare per il nuoro.

Per quel mandato che Robert le ha lasciato in eredità. «Rita, ti prego, dialoga con il mondo. In nome dei tanti amori senza nome». In nome di Robert.

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