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Perché non possiamo non dirci

Intervista a Tommaso Giartosio. Un “a tu per tu” su chiesa, religione e omosessualità.

di , Gay.tv, 6 aprile 2005

Per una persona omosessuale credente c’è una parola che assume particolare significato e valore: parliamo di “verità” e dell’opportunità di dirsi lesbiche, gay, bisex, ecc. “Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” si legge nel Vangelo di Giovanni (8,32).

Quanti di noi rinunciano, ogni giorno, a dire la propria verità? Facilmente veniamo assorbiti in una sorta di “spirale del silenzio”. Quante volte parliamo o abbiamo parlato il linguaggio dei nostri oppressori?

Tommaso Giartosio (Roma, 1963) ha intitolato il suo saggio su letteratura, omosessualità e mondo “Perché non possiamo non dirci” (Feltrinelli, 2004).

Non dirci come? Non dirci cosa?
Il titolo contiene un vuoto, un vuoto deliberato, che però sta lì per essere riempito da ogni lettore. “Non possiamo non dirci” nel senso che inevitabilmente, vivendo, noi riveliamo noi stessi per intero. Tiriamo fuori tutto, il passato e il presente, l’appartenenza etnica e le idee politiche e l’orientamento sessuale: tutto. Possiamo stringere i rubinetti, ma è una faticaccia e in fin dei conti è inutile. Meglio riconoscere tutte le nostre identità, cercando di raccontarle con il massimo di onestà e senza banalizzarle.

Il titolo, però, sembra anche un richiamo alle armi. “Non possiamo non dirci”: quindi “dobbiamo dirci”, dobbiamo farci avanti, batterci…
Non avevo calcolato questa sfumatura militante, sai? Però sono contento che ci sia. Il libro parla molto del coming out, del Pride, dell’impegno politico gay. Sono temi che cerco di affrontare in modo non ideologico: ma sono comunque temi imprescindibili. Ne va della nostra libertà.

Nel corso dell’incontro di presentazione del tuo libro a Salerno, però, Massimo Adinolfi ti ha rivolto una strana domanda: “Sei felice?”. E tu hai risposto di sì. Perché?
Lo so, la mia risposta stona rispetto allo stile aggressivo di molta militanza gay. La verità è che sono incazzato anch’io, e molto, ma questo non mi impedisce di essere anche una persona felice. Ed è importante ricordare che i gay non devono sperare tutt’al più nella “serenità”, ma possono essere felici come chiunque altro.

Non temi che l’antitesi eterosessualità−omosessualità sia troppo astratta?
La realtà è sempre più ricca e sfumata delle categorie con cui la descriviamo. Ma le categorie ci servono. Sono lo strumento fondamentale del pensiero. Per quanto riguarda in particolare l’orientamento sessuale, è vero che ogni persona ha un suo percorso, ma è anche vero che la cultura in cui viviamo oggi ci spinge in modo molto concreto a pensarci come gay oppure etero, senza vie di mezzo. Questa tendenza la si può e la si deve discutere, ma costituisce comunque la realtà con cui confrontarci.

Credi che volendo si possa cambiare orientamento sessuale?
No. Però so che a volte lo si cambia, senza che si possa esercitare alcun controllo sul cambiamento. Mi piace pensare i percorsi umani come linee a zig−zag. Abbiamo bisogno di sentirceli raccontare, anche per raccontarci i nostri.

Spesso, quando si scrive, ci si serve di ricordi personali. È come trovarsi di fronte a uno specchio e a volte è faticoso riconoscersi e proseguire il lavoro. Come hai portato a termine questo libro, Tommaso?
Ho avuto lettrici e lettori durante la stesura; molte delle loro obiezioni, molte delle loro domande sono stare rimpastate nel confronto tra le due voci (il libro è scritto in forma di dialogo). È stato un buon esercizio. Chi scrive ovviamente deve essere disposto a mettersi nei panni degli altri, anche quando questo è doloroso. Deve fare i conti con l’omofobia, la propria e quella altrui…

Tu parli molto di omofobia in “Perché non possiamo non dirci”. Addirittura dell’omofobia di Dante…
L’omofobia, come tutti i razzismi, ha avuto forme storiche molto diverse ma c’è sempre stata. Dal punto di vista etico va condannata. Però per un grande poeta come Dante ciò che conta è che l’omofobia venga affrontata, tematizzata, che diventi poesia. E lui l’ha fatto.

Credi che ci sia anche un’omofobia che gli omosessuali interiorizzano senza averne coscienza?
Certo. Ma questo i gay lo sanno da tempo. Il problema è che gli italiani, per motivi storici, sono particolarmente disabituati a riconoscere il pregiudizio. Moltissimi credono che basti dire “Per me la gente è tutta uguale” per avere la coscienza a posto. Il pregiudizio viene prima del giudizio: è una reazione automatica di rifiuto, un fastidio che coglie di sorpresa anche chi si credeva del tutto immune.

A proposito: cosa ne pensi degli sfottò degli omosessuali non credenti, soprattutto “militanti”, nei confronti dei gay credenti?
Io ho abbandonato la fede molto prima di conoscermi come omosessuale (anche se in queste faccende è difficile stabilire dei tempi) ... Ops! Vedi? Ho avuto la tipica reazione discriminatoria.

Che intendi dire?
Per prima cosa, ho sentito il bisogno di dirti che non sono cristiano. È un mettere le mani avanti, un chiamarsi fuori, quando nessuno ti ha ancora chiesto niente. Reazione classica. Per esempio i critici letterari eterosessuali, almeno fino a tempi recenti, se dovevano parlare di omosessualità iniziavano spiegando − alla prima riga − di non essere loro stessi gay.

Insomma, hai avuto una reazione cristianofoba?
Cattolicofoba, direi. Non ne vado orgoglioso.

Ma credi che ci siano buone ragioni per una reazione del genere? Per esempio: l’avversità dei gay nei confronti delle gerarchie cattoliche? Oppure il fatto che molti gruppi omocredenti non sono visibili come le associazioni omosessuali laiche?
Queste non sono buone ragioni per un pregiudizio, anche se possono essere buone ragioni per un giudizio negativo. Umanamente capisco quei gay credenti che rimangono al riparo, zitti nelle loro chiese: ma credo anche che compiano un grave errore e, mi sembra, anche un grave peccato. Si chiede moltissimo ai cattolici, ma sono loro stessi a chiedere di venire presi molto sul serio. Io non vorrei essere un omosessuale credente, perché il dichiararti tale ti investe di una responsabilità enorme.

Per finire: la tua opinione sul cristianesimo in sé?
Lavorando a Rai-Radio Tre “Fahrenheit” (Tommaso è uno dei conduttori del programma, n.d.r.) ho dialogato con molti religiosi assolutamente degni di stima. Ma nell’idea di Dio (prima ancora che nella Chiesa) c’è una sovrapposizione tra potere assoluto e amore assoluto che non mi sembra credibile, considerata la presenza del cosiddetto “male naturale” nel mondo. Insomma, Superman fermerebbe gli tsunami, quindi non c’è Superman. Banale quanto ti pare, ma non ho ancora incontrato una via d’uscita soddisfacente.

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