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Quegli eroi (e quegli scrittori) mortificati dalla paura del diverso

Esce la nuova edizione dell’Eroe negato di Francesco Gnerre, un classico della critica letteraria del Novecento che ha dato inizio agli studi gay in Italia

di , Repubblica.it, 24 gennaio 2019

Quando nel 1929 (l’anno degli Indifferenti di Moravia) Mario Soldati esordisce con Salmace, in cui uno dei sei racconti rappresenta una storia di transessualità e un altro, “Scenario”, un episodio di omosessualità, l’opera fa scalpore e alcuni critici autorevoli la stroncano.

Pur riconoscendo il talento dello scrittore, Giuseppe Antonio Borgese bolla come “acre, di clinico gusto” la “metamorfosi del giovinetto in fanciulla” e auspica che “questa nostra arte ermafrodita, o ironica, o morbida, anacronistica, stanca, diventi nuova e virile”. Sulla stessa linea Eugenio Montale, che parla di “bozzetti di argomento freudiano-sessuale” e liquida i racconti come “chiaramente falliti”.

Questo è solo uno degli aneddoti, mai presi in considerazione dalle antologie scolastiche, che possiamo leggere nella nuova edizione dell’Eroe negato di Francesco Gnerre, un classico della critica letteraria del Novecento che ha dato inizio agli studi gay in Italia e ha contribuito a liberare un’intera generazione da mortiferi sensi di colpa.

Da Carlo Coccioli, costretto negli anni Cinquanta a pubblicare all’estero il suo Fabrizio Lupo, ad Aldo Palazzeschi che gioca con i suoi personaggi en travesti, i riferimenti sono numerosi. C’è anche Giovanni Comisso che si umilia e scrive persino al Duce affinché chiuda un occhio e intervenga per far pubblicare i suoi scritti: “Voglia credere, Eccellenza, che se mi fosse possibile, sarei ben pronto a togliere i pezzi non graditi o anche ad accomodarli”.

Ci sono poi storie divertenti sulla misoginia e sulla paura delle donne di Carlo Emilio Gadda e il coming out coraggioso di uno scrittore poco noto, ma che meriterebbe di essere riletto, il fiorentino Piero Santi. Infine i rapporti con la censura, a volte drammatici, di Pier Paolo Pasolini e Giovanni Testori negli anni Sessanta, e di Pier Vittorio Tondelli e Aldo Busi ancora negli anni Ottanta e Novanta.

“Questi aspetti non riguardano solo le persone gay ma aiutano a capire meglio l’evoluzione della nostra storia letteraria”, precisa Gnerre, tra i fondatori del circolo Mario Mieli, insegnante in un liceo romano e successivamente all’università di Tor Vergata.

“Nonostante abbia frequentato il liceo classico agli inizi degli anni Ottanta – scrive un lettore dell’edizione precedente – ignoravo i tormenti di Saba e di Gadda. E non conoscevo Coccioli. L’accettazione della mia omosessualità è stata graduale e non facile. Se durante i miei studi fossi stato a conoscenza di ciò che il libro rivela, forse mi sarei sentito meno solo e il mio cammino sarebbe stato più facile”.

“I libri possono produrre questi effetti liberatori magari non programmati né previsti dai loro autori”, spiega Gnerre. “Un buon libro – continua – è come una foresta: ci entri per cercare funghi e trovi altro, magari pezzi di te stesso”.

In tal senso si può considerare anche l’Eroe negato che rappresenta, tra le righe, una vera e proprio autobiografia di Francesco Gnerre: lo studio delle difficoltà incontrate dagli scrittori omosessuali a scrivere e pubblicare i loro testi, e le difficoltà dei lettori a trovare nelle opere un qualche di rispecchiamento delle proprie esperienze, è stato infatti l’interesse di una ricerca militante di tutta una vita.

Una prima pubblicazione sui rapporti tra letteratura e omosessualità risale agli anni Settanta con L’Eroe negato della Gammalibri. Lo stesso titolo ritorna nelle edizioni successive fino a questa odierna di Rogas.

“In realtà l’opera dell’81 è proprio un altro libro – rivela Gnerre –, era la rielaborazione della mia tesi di laurea sul personaggio omosessuale nella narrativa del dopoguerra. Quando nel 2000 ho pubblicato con Baldini&Castoldi questo volume, l’allora direttore editoriale Piero Gelli impose il titolo dell’81, a suo dire, molto efficace e in grado di raggiungere un pubblico nuovo e più vasto. Ne avrei preferito un altro ma le cose andarono così”, sospira Gnerre forse con un po’ di rimpianto.

Da verità appena sussurrate a slanci liberatori contemporanei, Gnerre ci accompagna in un percorso che parte dai primi del Novecento, dove gli scrittori vengono censurati o si autocensurano, a Gianni Farinetti, Mario Fortunato e Walter Siti, per citare solo alcuni nomi, che al di là delle rivendicazioni dei nostri giorni hanno trovato le parole per raccontare gli amori tra persone dello stesso sesso senza restare impigliati in una cultura fondamentalmente omofoba.

L’autore insiste sul fatto che a costruire la nostra identità non è solo il confronto con la vita quotidiana ma anche con l’immaginario. “Se quello che la cultura ci ha imposto per secoli è stato sempre di tipo esclusivamente eterosessuale, appare evidente – spiega Gnerre – che il lettore omosessuale ha trovato nell’immaginario letterario solo la sua negazione, l’assenza di modelli di riferimento, con conseguenti e inevitabili difficoltà nel costruire la propria identità”.

Questo problema appare particolarmente drammatico per gli adolescenti, che quando si scoprono gay hanno l’impressione di essere soli al mondo. “E non dimentichiamo – aggiunge l’autore – che la scuola è l’unica forma di conoscenza della letteratura per moltissime persone”.

Oggi che l’Eroe negato sembra uscito dal ghetto e dalla clandestinità, Gnerre individua nuovi problemi: dal disagio di vivere in una società basata su un’istituzione familiare “normale” all’inquietudine, presente in alcuni scrittori di fronte a un’assimilazione che, inglobando le diversità, ne neutralizza gli aspetti più eversivi.

“Si può realmente liberare il presente – conclude Gnerre – se si libera anche il passato, e il passato è pieno di voci nascoste che aspettano di venire alla luce e di storie che aspettano di essere raccontate. La letteratura, che ha testimoniato e accompagnato la mutazione sociale e culturale dell’ultimo secolo, continua a mettere in discussione norme e valori codificati e a sperimentare, attraverso la scrittura, nuove modalità dei rapporti umani”.

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