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Sono gay, ho paura, ma vi denuncio

OMOSEX PESTATO in Campania alla vigilia della giornata contro l’omofobia. È il portavoce del Pride di Salerno. Il panico lo cattura. Teme, rivolgendosi alle guardie, che i suoi aggressori si vendicheranno.

di , l'Unità, 24 maggio 2005, pag. 23

Pasquale Quaranta, pestato a sangue perché gay alla vigilia della giornata contro l’omofobia, subito dopo l’aggressione è stato tentato dal silenzio. «Se li denuncio mi accoppano. E se facessi dare loro una lezione senza scomodare le guardie?». Effetto intimidazione: quando i pugni colpiscono fiducia e coraggio. Pasquale ha lottato per cambiare le cose, ma la violenza lo fa sentire solo. Dopo tre giorni decide. Cosa è successo? Abbiamo ricostruito il viaggio che lo ha portato dal panico alla ribellione.

«Hanno appena aggredito me e il mio amico Eddy, un branco di sette contro di noi perché ci tenevamo per mano in piazza a Battipaglia, la città dove vivo. Mi tremano le gambe, ho il volto ferito. Il corpo contuso. Non eravamo da soli, una troupe televisiva era venuta a filmare la vita di due gay al sud. L’aggressione ha scioccato anche gli operatori. Prima eravamo tutti in piazza, poi Eddy è scomparso. Vado a casa mia, spero che stia lì. Ma ho l’impressione di essere seguito. Arrivo al portone e non trovo la chiave, suono all’impazzata tutti i campanelli, nessuno mi apre. Ho paura. Entro nel negozio di fronte. Cerco di calmarmi. È un incubo? Le spalle mi fanno male, non sto sognando. Qualcuno entra nel mio portone, mi intrufolo, mi seggo per terra. Eddy arriva con le sue gambe, non mi pare vero, temevo il peggio. Ecco anche gli altri. Io non dico quasi nulla, uno strano silenzio si sta impossessando di me. Andiamo in ospedale, ci stipiamo in sette in una macchina. La giornalista dice alle guardie del pronto soccorso: “Questi ragazzi sono stati aggrediti”. Entriamo solo noi. “Che hai fatto?” chiedono gli infermieri. Non me la sento di spiegare. Ho paura di vedere sui loro volti un sorrisetto che ben conosco, ho paura di percepire nei loro gesti il frutto di frasi troppe volte sentite: “Due ragazzi mano nella mano, che vi aspettavate?”. Balbetto: “è stata una scazzottata”. Il silenzio è un’ombra che si allunga.

A mezzanotte torno a casa. Battipaglia è diventata di nuovo la città soffocante dove sono nato, le poche conquiste ottenute sono un’illusione. “È un piccolo paese del Sud, vattene, non vale la pena fare nulla”, mi dico. I miei sono scioccati. Vogliono tranquillità. Ci sono conoscenti e amici.

Qualcuno dice: “Se li denunci ti rovinano”. Un altro: “Gli facciamo dare una bella lezione?”. Io sono un gay militante, sono cristiano, questa proposta cozza con me stesso, eppure mi tenta, mi sembra valida tanto quanto la denuncia. Che cosa mi sta succedendo? Se li denuncio verrò protetto? O sarò solo? Non voglio fare l’eroe.

L’indomani gli amici mi dicono: “Se non li denunci ci aggrediscono tutti. Penseranno che i gay se la fanno sotto”. “Ho parlato ai giornalisti, non basta?”. La sera rivedo per un attimo uno dei picchiatori. Ci guardiamo negli occhi, è terribile riconoscersi. Sono con mio padre. Il tipo pensa di tornare indietro per darmi il resto. Ma vede che non sono solo. Cosa succederà domani? E dopodomani?

Il mercoledì presentiamo in Comune il Salerno Pride di giugno. Il sindaco mi manifesta la sua solidarietà, come i sindaci di Eboli e di Battipaglia. Io sono il portavoce del Salerno Pride, uno che cammina a testa alta. Chi è quel Pasquale imbavagliato che è entrato a furia di pugni e calci dentro di me? Nel pomeriggio ho un incontro con il questore insieme a un rappresentante dei Verdi. Si dice: ci deve essere una protezione per chi fa i pride in tutta Italia.

Il Questore mi guarda: “Abbiamo saputo della tua aggressione dai giornali, non c’è nessuna denuncia”. Mi trovo in un limbo: non mi proteggono né le guardie, né i delinquenti. Il Questore mi dice di un altro ragazzo che aveva ricevuto mail intimidatorie, il colpevole è stato individuato, ora quando si incontrano cambia strada. Noi abbiamo a che fare con i mafiosi, come si combatte se nessuno denuncia? Lo guardo, è alto, imponente, mi sento protetto. Rifletto. La sera due coppie di amici mi consigliano di fare un corso di autodifesa, mi offrono di trasferirmi a casa loro per un po’. “Noi ti stiamo vicino, ti scortiamo, ma ti devi difendere, potrebbe succedere a ciascuno di noi”. In casa i miei hanno molto discusso con amici fidati che chiedono: “Ma perché non avete denunciato?”. Entro e dico: “Mamma, Papà, mi sento più sicuro se li denuncio”. “Sì Pasquà, abbiamo sbagliato, lo devi fare. Domani ti accompagniamo”.

Io e mamma usciamo alle sette e trenta. Mi sono vestito bene, indosso la giacca. Compriamo i giornali, in uno c’è scritto che mi sono inventato tutto. Se ero già convinto, ora lo sono di più. In Questura i pc non si possono collegare a Internet, le stampanti funzionano per miracolo. Mi dicono: non abbiamo i mezzi adeguati, ma facciamo il nostro lavoro al meglio. Anche io faccio il mio: firmo la denuncia. Aggredisco il silenzio. Mi ribello».

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Immagini dell'articolo:

Delia Vaccarello
Delia Vaccarello ritratta da Susy D'Urso © fuorispazio.net
Liberi tutti © p40.it
La pagina della rubrica "Uno, due, tre... liberi tutti" curata da Delia Vaccarello per l’Unità © p40.it

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