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Tollerare o picchiare?

A Battipaglia (Salerno) due gay passeggiano mano nella mano. Vengono aggrediti da un gruppo di ragazzi, che li picchia. La “solita storia”? No, perché al loro seguito c’era una troupe Tv, che ha ripreso la scena, immortalando i volti degli aggressori. Ma, sorpresa!, la polizia afferma che è l’aggredito a dovere fare indagini e a scoprire, da solo, i nomi deigli aggressori. Un giornalista locale in effetti li ha rintracciati e intervistati. La polizia, invece, per ora non è stata capace. Storia di una vicenda incredibile dai risvolti incredibili.

di , Pride, n. 76, ottobre 2005

Volevamo riprendere con una telecamera nascosta le reazioni della gente di un paese del sud come Battipaglia (in provincia di Salerno) alla vista di due ragazzi che si tengono per mano. Assieme a noi, con la telecamera, una troupe televisiva di “Lucignolo”, il settimanale di approfondimento di “Studio Aperto” in onda su Italia 1.
Volevamo dimostrare che, contrariamente a quanto si sente dire ogni giorno, non è affatto vero che l’omosessualità “oggi in Italia non è più un problema”. Ci aspettavamo di dimostrarlo in base alle risatine di scherno, ai commenti a denti stretti o sussurrati, che pensavamo avrebbero accompagnato la nostra passeggiata.
Neppure noi, nel nostro “pessimismo”, ci saremmo aspettati quelle che in napoletano si chiamano “le mazzate”.

Passeggiavamo in piazza Madonnina, e ci tenevamo per mano. Un gruppo di sei-sette ragazzi inizia a fischiarci, a gridarci contro per offenderci. Così ci avviciniamo e chiediamo loro: “Scusate, c’è qualche problema?”. E via giù calci, pugni.
A Eddy, che ha osato non restare in silenzio di fronte agli improperi, spaccano gli occhiali. Ci dividono. Continuano a picchiarci in due gruppi: tre-quattro contro Eddy, altri tre contro di me. La gente guarda lo spettacolo a braccia conserte.
Finalmente riusciamo a divincolarci e a scappare grazie all’intervento della troupe televisiva di “Lucignolo”.

Siamo andati all’ospedale, Eddy e io, per farci medicare. “Trauma contusivo cranico non commotivo”, leggo sul referto. Mi tremano le gambe, a Eddy fa male la testa. Due giorni di prognosi per entrambi.
Tre giorni dopo mi convinco che non devo restare in silenzio per quanto ho subìto e sporgo denuncia contro ignoti per lesioni e ingiurie.
“Con le telecamere di sorveglianza del Comune di Battipaglia e le riprese di Italia 1”, mi assicurano in Commissariato, “riusciremo a identificare gli aggressori”.

Mi vengono mostrate in visione le foto segnaletiche in possesso all’Ufficio di Polizia di persone dedite a tali tipo di reato. Non riconosco nessuno degli assalitori.

Eppure, fino ad oggi, nonostante le riprese televisive e le telecamere del Comune puntate su una statua della Madonna al centro della piazza (sai com’è, magari si muove!), nonostante l’intervista di un quotidiano locale agli aggressori, la Polizia non è stata in grado di identificarli.
C’è invece riuscito un giornalista del quotidiano “la Città”, appunto, che il 2 giugno 2005 (l’aggressione è avvenuta il 16 maggio 2005) ha pubblicato un’intervista, sì proprio un’intervista, ai miei aggressori.

E lì leggo nuove ingiurie. Dopo le mazzate, le accuse di aver usato la trasmissione televisiva, che ovviamente ha trasmesso l’episodio, “per notorietà”!
Dal giornale apprendo addirittura le sigle dei loro nomi: “S.L., C.G., M.C., A.P., M.E, F.C., D.C.: il più piccolo ha quattordici anni, il più grande del gruppo appena diciotto”. E vedo addirittura una foto, di profilo: “I ragazzi mentre assistono alla puntata di Lucignolo” (recita la didascalia) comodamente seduti in un bar del centro.
“Con il senno di poi saremmo pronti a rifarlo qualora dovessimo vederli ancora in mezzo alla strada”.
E ancora: “Siamo orgogliosi di averli pestati”. Queste le loro dichiarazioni, in virgolettato.

Successivamente il quotidiano locale “la Città” del 14 luglio 2005 titola: Vogliamo scusarci. Sottotitolo: Il “branco” chiama l’inviata di Lucignolo.
Leggo: “(…) La singolare decisione sarebbe stata presa da uno degli adolescenti che ha partecipato attivamente all’aggressione…
Gli aggressori appaiono fiduciosi, consapevoli della risonanza che la stretta di mano tra loro e la coppia di omosessuali avrebbe a livello nazionale. Un evento unico nel suo genere che di certo, ed è questo il dettaglio di maggior rilievo, metterebbe la parola “fine” ad un episodio che non ha gratificato Battiapaglia”.

Ecco, anche per il giornalista de “la Città” (Gruppo editoriale Repubblica-L’Espresso!), la cosa più rilevante che emerge dall’intera vicenda è che la città di Battipaglia è stata bollata (ingiustamente, a suo dire, ma ovviamente lo fa dire agli intervistati) come “omofoba”. Una città disonorata.
A causa mia, naturalmente, che tengo la mano a un ragazzo in pubblica piazza: ma cosa mi è passato per la testa?
E gli intervistati, naturalmente, difendono a spada tratta la “tolleranza” di questa città.
Ma se i battipagliesi fossero davvero “tolleranti” nei confronti delle persone omosessuali (non finirò mai di ripetere che io esigo rispetto e non “tolleranza” per il mio orientamento sessuale e affettivo), le coppie lesbiche e gay camminerebbero mano nella mano tranquillamente per le strade del centro.
Ma ciò non accade.
Questa mi sembra la cartina di tornasole di una città che non mette a proprio agio gli omosessuali ma li intimidisce, li spaventa e li rende insicuri.

Chiaro, quello che accade qui al Sud accade anche in altre città nel resto d’Italia, ma non mi si venga a dire che Battipaglia è una città vivibile e “tollerante” per lesbiche e gay!
Non mi si venga a dire che non si vedono coppie omosessuali mano nella mano perché non esistono omosessuali felicemente fidanzati. Perché si sa, gli omosessuali, “per loro natura, sono esseri infelici”.
Non mi si venga a dire questo!
Gli omosessuali in questa città esistono, ma vivono i loro amori nell’ombra, e se sono infelici, semmai, lo sono a causa dei pregiudizi di cui ancora la stragrande maggioranza dei battipagliesi è vittima.
Se sono infelice, non lo sono per il fatto di essere gay, ma per il fatto che la società mi rende amara la vita e lo Stato italiano non mi riconosce diritti che reputo fondamentali per me e per il mio ragazzo.

Per lo meno, mi dico, hanno ammesso di averci menato. Perché subito dopo l’aggressione ho letto ancora ingiurie sui giornali locali che paventavano l’ipotesi di “fiction” organizzata ad arte per la Tv.
Ancora, sempre da un altro giornale locale apprendo che la madre di uno dei ragazzi, un minorenne che ha partecipato allegramente all’aggressione, ha presentato una diffida a Italia 1 per aver mandato in onda il viso del suo dolce pargolo.
Nessun commento, naturalmente, per la sua condotta.

Eppure, nonostante tutto questo, gli agenti del Commissariato P.S. di Battipaglia incaricati a seguire le indagini non sono stati in grado di identificare alcun aggressore.

Mi si dice che dovrei essere io (ovviamente mi è stato detto in modo informale) a contattare il giornalista che ha raccolto l’intervista agli aggressori.
“Se lo facciamo noi dal Commissariato, il tuo collega può sentirsi a disagio e può avvalersi del diritto di riservatezza sulle fonti di informazione. Non ci sarebbe di aiuto”.
Ma intanto telefonate, provate a chiedere!”, dico io.
Mi si risponde che “tramite amici” (in fondo Battipaglia è un paesetto di 60mila abitanti) dovrei scoprirli io, i nomi dei miei aggressori. Altrimenti la denuncia verrà archiviata con un nulla di fatto!
Mi viene addirittura paventata l’ipotesi che qualora uno degli aggressori venisse a chiedermi scusa in Commissariato, accompagnato dai genitori perché minorenne, e io accettassi le sue scuse, la denuncia nei confronti del “branco” non avrebbe più efficacia.
Insomma, mi guardo attorno e capisco che qui si è tolleranti con l’intolleranza e la violenza. “In fondo è stata una ragazzata” mi dicono in Commissariato. “In fondo te la sei cercata” è il messaggio di fondo, ma non c’è bisogno di dirlo.
E poi sono sempre un giornalista, chissà cosa potrei scrivere!

Meglio chiuderla qui, dunque, questa brutta storia?
No, ragazzi, mi ribello! Voglio giustizia. Perché noi gay non dobbiamo prenderci le mazzate e restare in silenzio. Dobbiamo osare essere liberi. Senza aver paura.
Ho firmato una denuncia: “Chiedo che i miei aggressori qualora identificati vengano perseguiti penalmente”.
La sottoscrivo, non a caso, su questo mensile.

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Immagini dell'articolo:

Pride di ottobre © clubclassic.net
Questo articolo è stato pubblicato in "Pride", n. 76, ottobre 2005 (in copertina Enrico Ruggeri) © clubclassic.net

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